Jane Goodall non c’è più. Si è spenta a 91 anni in California, ma la sua voce continua ad accompagnarci. Non era solo un’icona della ricerca: ha saputo tenere assieme scienza e coscienza, rigore di analisi ed empatia, obiettivi di ricerca e impegno civile. Con lei l’etologia è uscita dai manuali e ha incontrato le persone, ispirando milioni di giovani ad agire per la difesa del pianeta. Delle grandi tre “donne delle scimmie” (Diane Fossey i gorilla; Jane gli scimpanzé e Birutè Galdikas gli oranghi) non rimane che la terza, forse meno nota delle altre due.
Il nome di Goodall resterà legato alle foreste di Gombe, in Tanzania, dove negli anni Sessanta ha rivoluzionato lo studio dei primati. Osservando gli scimpanzé in libertà, ha dimostrato che sanno usare strumenti, che vivono emozioni e trasmettono comportamenti culturali. Ma la vera rivoluzione non è stata solo scientifica: Goodall ci ha spinto a riconoscere una parentela che va oltre il DNA, a vedere negli altri animali come soggetti con dignità propria. E a riconoscerci in loro a livello profondo.
Dal laboratorio alla comunità globale
La sua carriera, iniziata grazie al sostegno del paleoantropologo Louis Leakey, l’ha portata a ottenere un dottorato a Cambridge senza una laurea precedente, caso rarissimo nella storia accademica. La sua speciale caratteristica era la capacità di osservare: è questo che l’ha fatta diventare uno dei grandi nomi della ricerca etologica. Ma non è mai stata una scienziata chiusa nelle aule universitarie. Negli anni Settanta ha fondato il Jane Goodall Institute, che oggi conta sedi in più di venti Paesi, e nel 1991 ha lanciato “Roots & Shoots”, un programma educativo che coinvolge milioni di ragazzi e ragazze in progetti ambientali e sociali.
Goodall sapeva che la crisi climatica e la perdita di biodiversità non possono essere affrontate solo con dati e grafici: servono empatia, coraggio e senso di appartenenza. Non a caso è stata nominata “messaggera di pace” dalle Nazioni Unite e ha viaggiato instancabilmente per decenni, portando ovunque la sua voce pacata ma ferma. Parlava spesso della necessità di “ascoltare la natura” e di imparare a viverne i tempi, ricordando che ciò che perdiamo oggi non è recuperabile domani.
La forza di un abbraccio
Un video rimasto celebre mostra l’abbraccio di Wounda, una scimpanzé liberata dal traffico illegale e restituita alla vita grazie al lavoro del suo team. È un’immagine simbolo del suo pensiero: la scienza e la conservazione possono restituire libertà e futuro, se guidate da compassione e responsabilità.
Il lascito di Jane Goodall non sta dunque solo nei libri o nei documentari, ma nelle migliaia di giovani che, grazie a lei, hanno imparato che proteggere una foresta significa proteggere se stessi. In un tempo segnato da crisi ecologica e instabilità climatica, il suo esempio resta un richiamo potente: non siamo padroni della Terra, ma una delle specie che la abitano. Per cambiare davvero, per far pace con gli altri esseri umani e con la natura, forse leggere uno dei suoi libri può essere un buon inizio.