28 Agosto 2025
/ 28.08.2025

Katrina vent’anni dopo: il clima estremo è la nuova normalità

A due decenni dalla catastrofe che sconvolse New Orleans, il mondo affronta una stagione senza precedenti di disastri naturali. Intelligenza artificiale, riforestazione e sistemi di allerta sono le armi per ridurre i danni prodotti da un clima sempre più violento

Più uragani, più danni e meno tempo per reagire. Venti anni fa, il 29 agosto 2005, l’uragano Katrina colpiva New Orleans e gli Stati del Golfo, lasciando dietro di sé una scia di distruzione e dolore: più di 1.800 morti, città allagate, infrastrutture distrutte e danni per oltre 125 miliardi di dollari. La città, epicentro della tragedia nel 2005, oggi ha un sistema di dighe e pompe migliorato, ma resta vulnerabile. “Viviamo con l’acqua ai piedi”, racconta un residente del Lower Ninth Ward. “Il clima è impazzito. Le difese aiutano, ma non bastano”.

Secondo la Noaa, L’Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera, i grandi uragani (categoria 4 e 5) sono aumentati, alimentati dagli oceani più caldi. Gli scienziati concordano: il riscaldamento globale ha cambiato le regole del gioco.

Oggi, a due decenni di distanza, Katrina è considerato l’inizio simbolico di una nuova era. Quella in cui il cambiamento è diventata una condizione quotidiana, concreta e sempre più pericolosa.

Negli ultimi cinque anni, eventi devastanti hanno colpito ogni angolo del pianeta: gli incendi in Canada e Australia, le inondazioni in Germania e Pakistan, le temperature record in India, le siccità in Africa orientale. E mentre la scienza accelera le sue analisi, la politica fatica a tenere il passo.

I leader mondiali, che quest’anno si riuniranno alla COP30 di Belem a novembre, da anni ribadiscono l’urgenza di ridurre le emissioni e investire in adattamento climatico. Ma le promesse restano spesso parole vuote.

Solo nel 2024, negli Stati Uniti, gli uragani hanno provocato 375 vittime e oltre 500 miliardi di dollari di danni. È stato uno degli anni più devastanti mai registrati per il Paese. La stagione degli uragani nell’Atlantico è ancora in corso e si prevede che raggiungerà il numero record di 25 tempeste identificate.

Uno studio pubblicato su Science Advances ha evidenziato che, a causa del riscaldamento globale, la probabilità che un’alluvione catastrofica colpisca la California entro i prossimi 40 anni è raddoppiata. Gli scienziati parlano di un evento paragonabile a quello del 1861-1862, quando gran parte della Central Valley – tra Sacramento, Fresno e Bakersfield – si trasformò in un mare interno. Secondo i modelli, oggi un disastro simile potrebbe causare danni per oltre 1.000 miliardi di dollari, superando di cinque volte quelli provocati da Katrina.

Negli ultimi anni, il numero di Paesi che ha sviluppato sistemi di allerta rapida è raddoppiato, passando da 52 nel 2015 a 108 nel 2024. Ma il divario tra Paesi protetti e Paesi scoperti resta profondo.

L’Organizzazione meteorologica mondiale avvisa: entro il 2027 ogni Paese dovrà disporre di un sistema di allerta precoce. Secondo António Guterres, segretario generale dell’Oni, questi sistemi non sono un lusso, ma beni essenziali, capaci di restituire dieci volte l’investimento iniziale in termini di vite salvate e danni evitati.

Anche in Italia, la necessità di questi strumenti è sempre più evidente. Dino Zardi, professore di Fisica dell’atmosfera all’Università di Trento, ha spiegato che il cambiamento climatico ci sta portando in un’area sconosciuta, con fenomeni meteorologici mai sperimentati prima. La scienza ha oggi strumenti potenti, come supercomputer e intelligenza artificiale, ma servono anche giovani formati, capaci di interpretare i dati e trasformarli in azioni concrete.

Proprio l’intelligenza artificiale sta aprendo nuove strade. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge ha sviluppato Aardvark Weather, un sistema che permette previsioni meteo accurate e personalizzate in pochi minuti, anche usando normali computer. Questo potrebbe rivoluzionare le previsioni, rendendole accessibili anche nei Paesi in via di sviluppo, dove mancano le infrastrutture tecnologiche più avanzate.

Nel frattempo, si cercano anche soluzioni naturali per riparare i danni già fatti. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato lanciato un programma per piantare dieci milioni di alberi nei sei Stati del Sud più colpiti dagli uragani, dalla Virginia alla Florida. L’iniziativa, promossa dalla no profit Arbor Day Foundation, punta a ripristinare gli ecosistemi devastati dalle tempeste.

Ma l’aumento degli eventi estremi ha anche un costo economico crescente. Secondo l’ultimo report della società Aon, nel 2024 i disastri naturali hanno causato danni globali per 368 miliardi di dollari, con perdite assicurative pari a 145 miliardi. È il nono anno consecutivo con danni superiori ai 300 miliardi. E negli Stati Uniti, la FEMA – la protezione civile americana – ha speso quasi metà del proprio budget annuale per i disastri naturali in appena otto giorni, costringendo il governo a tagliare progetti di ricostruzione in corso.

Anche le imprese non sono immuni. Uno studio condotto da Boston Consulting Group e World Economic Forum avverte che, senza adeguate misure, le aziende rischiano di perdere fino al 25% dei propri profitti entro il 2050. Investire nella resilienza climatica conviene: ogni dollaro speso potrebbe generare un ritorno tra i 2 e i 19 dollari.

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