Nel cuore delle montagne kazake, il paradosso è evidente: anche dove l’uomo è ospite raro, l’inquinamento da plastica è ormai presenza fissa. È questo lo scenario che ha spinto l’Unep – il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente – ad agire. Proprio alle porte di Almaty, nella popolare area montana di Ayusai, frequentata ogni estate da migliaia di visitatori, prende forma un progetto concreto per affrontare il problema: più raccolta, più riciclo, più consapevolezza.
Non è solo una questione estetica o turistica. Un sondaggio condotto su 146 guide di montagna e operatori di sport invernali ha rivelato che per il 63% di loro la plastica abbandonata è aumentata. Otto su dieci affermano di vedere regolarmente bottiglie e imballaggi sparsi nei sentieri. Una tendenza che conferma ciò che i numeri globali già raccontano: nel 2025 il mondo consumerà 516 milioni di tonnellate di plastica, ma solo il 9% sarà effettivamente riciclato.
Piccole infrastrutture, grande impatto
Il progetto “Plastic Waste in Remote and Mountainous Areas”, promosso dalle convenzioni di Basilea, Rotterdam e Stoccolma e coordinato da Unep, parte da un dato di fatto: le aree remote, soprattutto montane, pagano un doppio scotto. Da un lato, sono meno attrezzate sul piano dei servizi; dall’altro, costi elevati di trasporto e condizioni climatiche dure rendono difficile lo smaltimento. Così la plastica resta. E si accumula.
Per rompere questo circolo vizioso, l’intervento ad Ayusai ha installato isole ecologiche differenziate (plastica, vetro, carta, alluminio) nei punti chiave del percorso. A supporto, nel centro visitatori è stato posizionato un compressore per ridurre il volume dei rifiuti e avviare micro-occupazione locale. Ma la novità più significativa è il collegamento diretto con Almaty: un hub di raccolta urbano riceve ogni giorno fino a 500 kg di plastica, avvicinando montagna e città in una filiera del riciclo che prima non esisteva.
La circolarità che viene dal basso
Il cambiamento non passa solo da contenitori colorati. Passa anche, e soprattutto, dalla partecipazione delle persone. “Ora la gente butta via i rifiuti nei contenitori giusti, oppure se li riporta a casa. Questo fa una grande differenza”, racconta Bakytbergyen, guida locale. Anche Gulzhan Kenzheqyzy, insegnante di fisica, lo nota: “Finalmente ci sono bidoni ovunque. Dopo aver bevuto da una bottiglia, puoi davvero scegliere di non inquinare. È un gesto semplice, ma potente”.
A sostenere questo cambio culturale c’è anche Ecosen, una piattaforma digitale che incentiva il riciclo attraverso un sistema a punti: più plastica consegni, più premi ecologici puoi ottenere. E quando la plastica raccolta arriva negli impianti della Zeta Company – azienda di arredamento con vent’anni di esperienza nell’upcycling – si trasforma in oggetti di uso quotidiano: sedie, fioriere, articoli per la casa. Tutti nuovamente riciclabili.
Una sfida globale che parte dai margini
Il progetto in Kazakistan è solo un tassello di una strategia più ampia: l’iniziativa copre 11 Paesi in quasi tutti i continenti, finanziata da governi europei (Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia) e agenzie di cooperazione. L’obiettivo è duplice: contrastare l’inquinamento e dimostrare che anche le aree dimenticate possono diventare laboratori di innovazione ambientale.
“Le zone montane come Ayusai vengono spesso trascurate nelle politiche sui rifiuti – spiega Aidai Kurmanova, responsabile Unep per l’Asia centrale – ma con il giusto supporto locale, possono essere protagoniste del cambiamento. È un modo per curare le ferite del paesaggio e restituirgli dignità”.