22 Novembre 2025
/ 21.11.2025

La Caritas: “Le conseguenze della crisi climatica penalizzano i più poveri”

Il 9% delle famiglie italiane vive in “povertà energetica”. Ma le misure fin qui adottate generano una crescente ostilità alle misure di difesa climatica, con i più vulnerabili contrapposti “a una presunta élite, che peraltro è la maggior responsabile dei danni ambientali”

Il 9% delle famiglie italiane, 2,36 milioni, vive in “povertà energetica”, con una crescita di 340 mila famiglie in un anno. Il dato peggiore dal 1997, anno in cui sono cominciate le analisi su questo tema. A denunciarlo è la Caritas italiana nel documento “Fuori campo. Lo sguardo della prossimità“, il rapporto 2025 su povertà ed esclusione sociale in Italia, che alla povertà energetica dedica ben 40 pagine sul totale di 160, il capitolo più lungo. Un’analisi che parte dalla definizione. “La povertà energetica è quel fenomeno che interessa coloro che non possono usufruire di forniture adeguate e affidabili di energia elettrica e gas per indisponibilità di sufficienti risorse economiche. È la punta di un iceberg, la cui massa sommersa è costituita dalla complessità delle connessioni tra questioni ambientali, climatiche e sociali. È una ‘nuova’ povertà sulla quale pesano gli effetti della crisi climatica che ha creato nuovi rischi ambientali e sociali, che incrementano le disuguaglianze e producono nuove forme di povertà”.

Disuguaglianze ben descritte da altri dati. Le famiglie più povere impegnano l’8,7% della loro spesa per beni e servizi energetici, contro il 3,3% delle famiglie più ricche. Ed è aumentata significativamente la componente di famiglie in povertà energetica nascosta, le hidden energy poor, famiglie che hanno una spesa complessiva al di sotto della media e spesa per riscaldamento nulla. Niente gas o elettricità, e neanche legna. E magari si sta in casa con due maglioni. Come nelle commedie di De Filippo. Queste famiglie spendono un terzo in meno in media per elettricità rispetto alle altre famiglie ed è inoltre significativo che solo poco più di un quarto abbia beneficiato del bonus elettrico. Ma anche chi inizialmente ne aveva beneficiato è tornato ora indietro.

Un sintomo da non sottovalutare

Infatti, i poveri sono anche coloro che, per effetto della riduzione progressiva delle risorse stanziate per i bonus (meno 1 miliardo tra il 2022 e il 2023), hanno ridotto più della media le spese per consumi energetici. La povertà energetica, avverte la Caritas, “è un sintomo, come la febbre alta, a cui finora si è reagito solo somministrando dosi, più o meno massicce, di antipiretico, che abbassa la febbre, ma non cura le cause della malattia. L’antipiretico in questo caso è stato il bonus sociale elettricità e gas per compensare le morosità nel pagamento delle bollette. Ma la morosità non è l’unica forma in cui si esprime la povertà energetica”. Perché, secondo il rapporto, “crisi energetica e crisi climatica hanno molti elementi di contiguità” ma soprattutto “sono indissolubilmente legate sul piano delle soluzioni. Ed ogni azione di contrasto all’una e all’altra che non riduca le disuguaglianze risulterebbe socialmente pericolosa, se non impossibile. I costi della transizione non possono essere pagati dai più vulnerabili”.

Sembra di leggere le analisi e le accuse dei Paesi poveri contro quelli ricchi. Ma questa volta a pagare sono anche le persone nei Paesi ricchi. Così “è indispensabile la mano pubblica per le persone che non hanno risorse alternative e le misure assunte dovranno risultare premianti proprio per i più vulnerabili”. La crisi climatica, avverte il Rapporto, “ha creato nuovi rischi ambientali e sociali, che incrementano le disuguaglianze e producono nuove forme di povertà. Nascono nuove domande di sicurezza che richiedono un ripensamento del welfare capace di leggere le nuove interdipendenze provocate dalla crisi climatica, dalla crisi energetica e da quella sociale”. La crisi climatica, ricorda la Caritas, “è anche e soprattutto una crisi intrisa di interdipendenze che provocano conseguenze sul piano della salute, dell’organizzazione urbana, del sistema produttivo, dell’approvvigionamento energetico, dell’innovazione tecnologica, dei sistemi idrogeologici, dei consumi, dell’immaginario sociale”.

L’ecologia integrale

È quella che Papa Francesco, e ancor prima Alex Langer, hanno chiamato “ecologia integrale”, caratterizzata dalle connessioni e sinergie perverse tra fragilità di natura diversa e nuovi rischi. Per questo “la transizione potrà essere veloce solo se sarà giusta”. Perché “la crisi climatica è universale e colpisce tutti, e pone per tutti bisogni di sicurezza personale” ma, avverte nuovamente la Caritas, “è un universalismo asimmetrico, perché è vero che colpisce tutti, ma non tutti allo stesso modo. La crisi climatica è un moltiplicatore di disuguaglianze che trasforma le vulnerabilità sociali in vulnerabilità ambientali, che a loro volta si traducono in nuove forme di esclusione sociale ed economica, intrecciando impoverimento progressivo e rischio climatico”.

La Caritas lo sa bene, dovendo affrontare ogni giorno e ovunque le nuove e crescenti povertà. Perché “più si scende nella scala sociale, maggiore è la fragilità ai rischi e l’incapacità a reagire”. Così fa l’esempio delle ondate di calore “destinate a intensificarsi e prolungarsi con il progredire del riscaldamento globale” ma che “colpiscono in modo sproporzionato anziani, bambini, persone con patologie croniche, lavoratori esposti, abitanti di aree urbane dense e poco verdi”.

Una denuncia rafforzata dai dati, citati nel Rapporto, del Cmcc-Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici. “Mentre le famiglie ad alto reddito destinano tra 0.2% e 2.5% del proprio reddito al raffrescamento estivo, quelle più povere impegnano l’8%”, e quindi per molte è un costo insopportabile. Le conseguenze sono drammatiche. “Chi può permettersi aria condizionata, abitazioni ben isolate, flessibilità lavorativa, ha una mortalità significativamente inferiore rispetto a chi vive in abitazioni sovraffollate, lavora all’aperto e non può permettersi i costi energetici del raffreddamento”. E, ricordiamo, stiamo parlando di Paesi occidentali come l’Italia.

La miopia delle politiche attuali

La Caritas ha poi parole molto dure sulle politiche di decarbonizzazione che “sono state finora ispirate a criteri che aggravano le disuguaglianze, perché cieche rispetto alle implicazioni distributive”. Infatti, denuncia, “la gran parte è stata costruita attraverso incentivi economici, che hanno assunto forme regressive, dagli sgravi fiscali per l’acquisto di veicoli elettrici, ai sussidi per l’installazione di pannelli solari, alle detrazioni per ristrutturare energeticamente le abitazioni” perché “hanno escluso tutti coloro che non hanno capienza fiscale o capacità di investimento o non sono proprietari di immobili o non hanno la capacità di accedere alle informazioni utili”.

E alla fine, è l’amara conclusione, mentre da una parte solo “i ricchi possono facilmente adattarsi alle nuove regole investendo in nuovi beni durevoli”, dall’altra “questi modi di costruire le politiche ambientali e climatiche generano una crescente ostilità, che vede i vulnerabili contrapporsi a una presunta èlite”. Che peraltro è la maggior responsabile dei danni ambientali. Anche in Italia, dove “il 10% delle famiglie più ricche, classificate in base alla spesa totale, rappresenta il 27,4% delle emissioni totali di gas serra e lo 0,1% più ricco delle famiglie italiane emette più di 300 tonnellate di gas serra all’anno rispetto alla media delle famiglie italiane di circa 20 tonnellate”.

Insomma “emerge tutta la miopia delle politiche esistenti, che guardano a una porzione del problema senza intervenire su un piano più generale e sistemico”. In particolare “sul versante delle politiche specifiche di salvaguardia delle fasce deboli della popolazione gli interventi dell’Autorità per l’energia (rateizzazione dei pagamenti, tassi massimi di interesse, divieti di sospensione del servizio in casi di particolare disagio) e il bonus sociale elettricità e gas si sono di mostrati “cure palliative”, che non sono andate alla radice del problema, tanto che la sovrapposizione tra famiglie in povertà energetica e beneficiari del bonus elettrico nel 2023 è risultata limitata al 18%, confermando che l’Isee (e conseguentemente l’attuale configurazione del bonus) non riesce ad intercettare in modo soddisfacente il fenomeno della povertà energetica”.

Un nuovo rischio sociale

Perché “la povertà energetica non è un fenomeno isolato, ma la manifestazione più visibile di una trasformazione profonda sollecitata dalla convergenza tra crisi climatica, mercificazione dell’energia e politiche per la transizione disattente alle disuguaglianze sociali. L’accesso all’energia è diventato un nuovo rischio sociale che attraversa trasversalmente la società italiana, coinvolgendo fasce sempre più ampie della popolazione”.  E dunque, “perché sia efficace anche il contrasto alla povertà energetica andrebbe concepito come il tassello di un mosaico di risposte, che dovrebbero costituire il welfare energetico-climatico: un insieme di misure di sostegno alla transizione ecologica, come sussidi per l’efficientamento energetico delle abitazioni, contributi per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, individuazione di spazi sociali con funzioni di aggregazione e allo stesso tempo di adattamento agli eventi climatici estremi, come per esempio i rifugi climatici, e nei quali le persone si possono incontrare, scambiare conoscenze e condividere l’utilizzo dell’energia elettrica e termica”.

Ed è dunque fondamentale che “il welfare energetico non si limiti ai singoli e alle loro abitazioni, ma coinvolga l’intero tessuto urbano di prossimità, creando un sistema integrato che riduca i costi energetici, migliori il comfort climatico e favorisca l’accesso equo alle risorse energetiche pulite per tutta la comunità”. La Caritas indica possibili strade perché, “l’accesso all’innovazione tecnologica, alla riqualificazione energetica, alle fonti rinnovabili attraverso autoproduzione e/o scambio di prossimità e/o fornitori di energia 100% rinnovabile a prezzi contenuti, è una misura fondamentale per governare la transizione e contrastare gli impatti sociali, come in linea teorica dovrebbe garantire il Piano Sociale per il Clima, richiesto dall’Europa e presentato questa estate dal Governo italiano, anche se la scarsità delle risorse disponibili apre più di qualche dubbio sulla sua effettiva capacità di incidere nella prospettiva della giustizia sociale e ambientale”.

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