20.09.2024
Il Vescovo di Roma affianca l’Imam del più grande Paese musulmano al mondo. La chiesa è una concezione della testimonianza cristiana che va oltre il “settarismo”. È un sottopassaggio, come il tunnel che collega la grande moschea alla cattedrale di Jakarta. Le riflessioni di Papa Francesco dopo il suo viaggio più lungo.
«Nel pensare alla Chiesa siamo troppo eurocentrici o, come si dice, occidentali»: è la riflessione di Papa Francesco a conclusione del «viaggio più lungo» del suo pontificato. Non c’è dunque, per i cristiani, soltanto lo Spirito, brezza sottilissima capace di attraversare tempo, divisioni e geografie, di pervadere donne e uomini rendendole «persone nuove» nel linguaggio dell’amore, ma religiosi, laici, catechisti, incontrati in Asia e in Oceania, che offrono, “in quei Paesi”, dove avrebbe voluto essere missionario da gesuita, l’immagine di una Chiesa «molto più grande e molto più viva». «Sono Chiese – ha rilevato il Santo Padre – che non fanno proselitismo, ma che crescono per attrazione, come diceva saggiamente Benedetto sedicesimo».
In Indonesia i cattolici sono il 3 per cento, ma l’esperienza di essere con loro è «emozionante», in una realtà «dinamica, capace di vivere e trasmettere il Vangelo». Un Paese – ha ricordato – «con una cultura molto nobile e in grado di armonizzare la diversità». Vicinanza, misericordia e compassione sono le vie su cui «i cristiani devono camminare per annunciare Cristo Salvatore e le grandi tradizioni religiose e culturali». Una concezione della testimonianza cristiana che va oltre il «settarismo» e che rappresenta un «ponte» o, meglio, un «sottopassaggio» verso la «fraternità», come il tunnel che collega la grande moschea alla cattedrale di Jakarta, benedetto dal Papa accanto al gran Imam. In Papua Nuova Guinea i diversi gruppi etnici parlano più di ottocento lingue, un’opportunità per «far risuonare il messaggio dell’amore nella sinfonia dei linguaggi» di un Dio che Francesco chiama «capo dell’armonia». Il Vescovo di Roma si è rallegrato e commosso, come ha raccontato, nell’ascoltare i canti e le musiche dei giovani che fanno sperare per un «futuro senza violenze tribali, dipendenza, colonialismi ideologici ed economici». Oltre ai gesti di amicizia e di affetto scambiati con l’Imam del più grande Paese musulmano al mondo, rimarranno impresse nella memoria altre immagini significative. Tra queste, l’imbarco del Papa sul C-130 dell’Aeronautica Militare australiana diretto a Vanimo, dove è stato accolto dai tre missionari che vivono nella «periferia più periferica del mondo» e da uomini e donne in costumi coloratissimi. Oppure le seicentomila persone che a Timor Est lo hanno atteso per ore sotto il sole. Si tratta di un Paese che ha conquistato recentemente la sua indipendenza dall’Indonesia, dove il sessantacinque per cento della popolazione ha meno di trent’anni.
La skyline di Singapore, ha fatto da teatro alle indicazioni di armonia e fratellanza del Papa, che si è ispirato al Santo d’Assisi. Infine, come fanno notare i mezzi di comunicazione ufficiali del Vaticano, l’ultima immagine è quella del Papa stesso. La fatica, il clima tropicale facevano dubitare per la sua salute, ma «è stato un crescendo» di un «giovane tra i giovani» che compirà («a Dio piacendo», direbbero i suoi) 88 anni alla vigilia del Giubileo.
Credito fotografico: Vatican Media