24.08.2023
L’analisi effettuata su oltre duemila interazioni tra 600 sconosciuti contravviene il detto popolare secondo cui «gli opposti si attraggono».
Gli opposti si attraggono? Sembra proprio di no. Dopo anni in cui i rapporti sentimentali si sono fatti sempre più difficoltosi (soprattutto in concomitanza con il Covid, ma anche per l’esplosione dei social network e la difficoltà di tanti giovani a rendere reale ciò che nasce e si sviluppa come virtuale), la scienza ha deciso di occuparsi in maniera sistematica anche dell’amore. E soprattutto di ciò che lo precede: l’attrazione. Ciò che ha scoperto, però, contravviene l’arcinoto detto popolare.
I dipartimenti di psicologia di due Università, quella del Queensland in Australia e quella di Stirling in Gran Bretagna, hanno unito le loro forze per realizzare uno studio, nel frattempo pubblicato su Evolution and Human Behaviour. I dati sono stati raccolti analizzando le coppie che hanno preso parte a eventi di “speed dating”, ossia serate in cui si organizzano “appuntamenti-lampo” tra perfetti sconosciuti che in pochi minuti devono decidere se c’è compatibilità o meno. E i risultati sono stati in un certo senso sorprendenti rispetto quantomeno al luogo comune.
Ciò che è emerso, infatti, è che il maggiore interesse nasceva tra persone che si somigliavano di più. E in questo specifico caso non parliamo di affinità caratteriali, ma proprio caratteristiche fisiche. In particolare, quelle dei lineamenti del viso.
I partecipanti all’esperimento sono stati più di 600, e hanno abbracciato diverse etnie. Le loro interazioni collettive hanno superato il numero di duemila, ma quelle che hanno funzionato meglio sono scattate tra chi più si somigliava. Per dirla in maniera ancora più chiara: a trovarsi più piacevoli, o attraenti, erano persone dai volti simili tra loro.
«Al termine di tutte le interazioni, ogni partecipante era chiamato a valutare l’altro sotto gli aspetti dell’attrattività del viso, della gradevolezza e dell’intesa – ha spiegato la dottoressa Amy Zhao, responsabile dello studio –. Il nostro compito è stato poi quello di analizzare le immagini facciali per stabilirne alcuni parametri come somiglianza e ordinarietà. Aspetti spesso impercettibili e di fronte a cui i partecipanti erano addirittura inconsapevoli».
Gli autori dello studio hanno voluto precisare anche un aspetto non di poco conto: la “somiglianza” che faceva scattare la fatidica scintilla non era necessariamente da legarsi all’appartenenza alla stessa etnia. Più decisivo era invece il fatto che i lineamenti fossero simili ai propri. Particolarmente gettonata anche la già menzionata “ordinarietà”: sono infatti andati per la maggiore i volti più simili alla media, a discapito di chi presentava tratti più singolari.
«Lo studio – ha aggiunto la dottoressa Zhao – dimostra che la nostra preferenza va ai volti che percepiamo simili ai nostri. Questi risultati suggeriscono una predilezione nei confronti di persone che ci trasmettono un senso di parentela, anche se non le conosciamo. Sono facce che percepiamo istintivamente come amiche, ci fanno sentire subito a nostro agio infondendo una sensazione di familiarità e appartenenza».