26 Luglio 2025
/ 24.07.2025

La Commissione Ue bacchetta gli Stati: in ritardo sulle rinnovabili

Bruxelles apre una procedura d’infrazione contro 26 Paesi Ue per il ritardo sullo sviluppo delle energie rinnovabili, Italia inclusa. Solo la Danimarca ha rispettato la scadenza

La Commissione europea ha deciso di mettere in mora 26 Stati membri, Italia compresa, per non aver recepito nei tempi previsti la direttiva (UE) 2023/2413 che rafforza l’impegno europeo sulle energie rinnovabili. Solo la Danimarca ha rispettato la scadenza del 21 maggio 2025, segnalando a Bruxelles l’integrale trasposizione della norma nel proprio ordinamento. Tutti gli altri – dall’Irlanda alla Grecia, dalla Germania alla Svezia – sono in ritardo. E ora hanno due mesi per rimediare, oppure dovranno affrontare il secondo stadio della procedura d’infrazione.

Il segnale è forte e chiaro: la transizione verde non è un’opzione, è un obbligo. Ma molti governi sembrano ancora sottovalutare il peso degli impegni assunti.

Cosa prevede la direttiva in questione

La direttiva oggetto della contestazione è la revisione della Renewable Energy Directive (RED), approvata nel 2023 per allineare la politica energetica europea ai nuovi obiettivi climatici del Green Deal. L’obiettivo principale, è portare la quota di energie rinnovabili al 42,5% del consumo finale lordo entro il 2030, con uno sforzo aggiuntivo per arrivare, laddove possibile, fino al 45%.

Il nuovo testo introduce strumenti pensati per abbattere le barriere burocratiche che rallentano la diffusione dell’energia pulita, favorire l’elettrificazione dei consumi, incentivare l’idrogeno verde e garantire una maggiore sostenibilità della bioenergia. Particolare attenzione è stata riservata ai settori più indietro nella transizione: edilizia, trasporti, industria, riscaldamento e raffreddamento.

Come ha spiegato la Commissione, la direttiva contiene “misure orizzontali e trasversali” per spingere la transizione, tra cui l’estensione delle garanzie di origine – che permettono ai consumatori di sapere quanta energia pulita utilizzano – e il rafforzamento della produzione locale di energia, indispensabile anche per ridurre la dipendenza da fonti fossili importate.

Perché l’Italia è (ancora una volta) in ritardo

Non è una novità: l’Italia è spesso tra i ritardatari nel recepimento delle direttive europee, specialmente su temi che richiedono un coordinamento multilivello tra governo centrale, regioni, enti locali e operatori economici. In questo caso, la lentezza nel dare seguito alla RED III è particolarmente grave, perché l’Italia ha tutto da guadagnare da una transizione accelerata.

Con il suo enorme potenziale solare ed eolico, il nostro Paese potrebbe essere tra i leader della rivoluzione energetica europea. Eppure, a oggi, il quadro normativo resta incompleto, con molte misure ancora in stallo e un iter autorizzativo che continua a essere una giungla. Il recepimento della direttiva non è solo un adempimento burocratico: è la base per sbloccare investimenti, impianti, progetti.

Le conseguenze del ritardo

Se i governi inadempienti non provvederanno entro due mesi a trasmettere alla Commissione la documentazione che attesta il recepimento completo della direttiva, Bruxelles potrà emettere un parere motivato: il secondo passo formale prima del deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Il mancato recepimento di norme chiave rallenta l’intero piano di decarbonizzazione dell’Unione. Oggi il settore energetico è responsabile di oltre il 75% delle emissioni di gas serra in Europa. Ritardare la sua trasformazione significa mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici e la sicurezza energetica del continente.

Come ha ribadito la Commissione, “l’attuazione della legislazione è fondamentale per accelerare la diffusione dell’energia pulita prodotta localmente, ridurre ulteriormente le emissioni e rafforzare la sicurezza energetica”.

Un paradosso europeo

La lista degli Stati richiamati da Bruxelles è tanto lunga quanto sorprendente: tra i 26 figurano Paesi con una lunga tradizione di leadership ambientale, come la Germania, la Svezia e i Paesi Bassi. L’ampiezza della procedura segnala un problema sistemico, non un caso isolato.

Il paradosso è evidente: l’Unione europea si presenta come campionessa della transizione ecologica, ma i suoi membri faticano a concretizzare gli impegni presi. Le direttive si accumulano, i piani si moltiplicano, ma la messa a terra – cioè l’effettiva attuazione – resta il vero tallone d’Achille.

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