La Commissione europea ha deciso di mettere in mora 26 Stati membri, Italia compresa, per non aver recepito nei tempi previsti la direttiva (UE) 2023/2413 che rafforza l’impegno europeo sulle energie rinnovabili. Solo la Danimarca ha rispettato la scadenza del 21 maggio 2025, segnalando a Bruxelles l’integrale trasposizione della norma nel proprio ordinamento. Tutti gli altri – dall’Irlanda alla Grecia, dalla Germania alla Svezia – sono in ritardo. E ora hanno due mesi per rimediare, oppure dovranno affrontare il secondo stadio della procedura d’infrazione.
Il segnale è forte e chiaro: la transizione verde non è un’opzione, è un obbligo. Ma molti governi sembrano ancora sottovalutare il peso degli impegni assunti.
Cosa prevede la direttiva in questione
La direttiva oggetto della contestazione è la revisione della Renewable Energy Directive (RED), approvata nel 2023 per allineare la politica energetica europea ai nuovi obiettivi climatici del Green Deal. L’obiettivo principale, è portare la quota di energie rinnovabili al 42,5% del consumo finale lordo entro il 2030, con uno sforzo aggiuntivo per arrivare, laddove possibile, fino al 45%.
Il nuovo testo introduce strumenti pensati per abbattere le barriere burocratiche che rallentano la diffusione dell’energia pulita, favorire l’elettrificazione dei consumi, incentivare l’idrogeno verde e garantire una maggiore sostenibilità della bioenergia. Particolare attenzione è stata riservata ai settori più indietro nella transizione: edilizia, trasporti, industria, riscaldamento e raffreddamento.
Come ha spiegato la Commissione, la direttiva contiene “misure orizzontali e trasversali” per spingere la transizione, tra cui l’estensione delle garanzie di origine – che permettono ai consumatori di sapere quanta energia pulita utilizzano – e il rafforzamento della produzione locale di energia, indispensabile anche per ridurre la dipendenza da fonti fossili importate.
Perché l’Italia è (ancora una volta) in ritardo
Non è una novità: l’Italia è spesso tra i ritardatari nel recepimento delle direttive europee, specialmente su temi che richiedono un coordinamento multilivello tra governo centrale, regioni, enti locali e operatori economici. In questo caso, la lentezza nel dare seguito alla RED III è particolarmente grave, perché l’Italia ha tutto da guadagnare da una transizione accelerata.
Con il suo enorme potenziale solare ed eolico, il nostro Paese potrebbe essere tra i leader della rivoluzione energetica europea. Eppure, a oggi, il quadro normativo resta incompleto, con molte misure ancora in stallo e un iter autorizzativo che continua a essere una giungla. Il recepimento della direttiva non è solo un adempimento burocratico: è la base per sbloccare investimenti, impianti, progetti.
Le conseguenze del ritardo
Se i governi inadempienti non provvederanno entro due mesi a trasmettere alla Commissione la documentazione che attesta il recepimento completo della direttiva, Bruxelles potrà emettere un parere motivato: il secondo passo formale prima del deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il mancato recepimento di norme chiave rallenta l’intero piano di decarbonizzazione dell’Unione. Oggi il settore energetico è responsabile di oltre il 75% delle emissioni di gas serra in Europa. Ritardare la sua trasformazione significa mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici e la sicurezza energetica del continente.
Come ha ribadito la Commissione, “l’attuazione della legislazione è fondamentale per accelerare la diffusione dell’energia pulita prodotta localmente, ridurre ulteriormente le emissioni e rafforzare la sicurezza energetica”.
Un paradosso europeo
La lista degli Stati richiamati da Bruxelles è tanto lunga quanto sorprendente: tra i 26 figurano Paesi con una lunga tradizione di leadership ambientale, come la Germania, la Svezia e i Paesi Bassi. L’ampiezza della procedura segnala un problema sistemico, non un caso isolato.
Il paradosso è evidente: l’Unione europea si presenta come campionessa della transizione ecologica, ma i suoi membri faticano a concretizzare gli impegni presi. Le direttive si accumulano, i piani si moltiplicano, ma la messa a terra – cioè l’effettiva attuazione – resta il vero tallone d’Achille.