4 Novembre 2025
/ 4.11.2025

La corsa a ostacoli della green economy europea tra Usa e Cina

L’Europa, per non restare spettatrice, deve difendere la propria capacità industriale e ridurre i divari interni, a partire da quelli energetici

La fotografia della green economy europea è quella di un continente in bilico tra ambizione e incertezza. L’Italia ne incarna bene i contrasti: emissioni che calano troppo lentamente, consumi energetici ancora in aumento, mobilità dominata dall’auto privata, ma anche buone prestazioni nella produzione elettrica da rinnovabili e nell’economia circolare. È il ritratto che emerge dagli Stati Generali della Green Economy 2025, dove la sfida non è solo interna: tra le contraddizioni Usa (da una parte il negazionismo climatico di Trump, dall’altra investimenti green ancora consistenti da parte delle imprese) e la Cina che domina la catena globale delle tecnologie pulite, l’Europa rischia di restare schiacciata nel mezzo.

Il continente che ha inventato la transizione

L’Unione europea è stata la prima potenza economica a costruire un impianto normativo per la neutralità climatica, dal Green Deal al Fit for 55. Ma oggi paga un prezzo: la lentezza burocratica, le divisioni tra Stati membri e la mancanza di un vero mercato unico per le materie prime seconde rallentano la corsa. Mentre gli Stati Uniti attraggono imprese europee con sussidi generosi e semplificazioni dell’Inflation Reduction Act, la Cina ha consolidato una posizione dominante in pannelli solari, batterie e veicoli elettrici. Pechino produce l’80% delle celle fotovoltaiche mondiali e guida l’intera filiera delle terre rare. L’Europa, che ha posto l’ambiente al centro della sua identità politica, rischia di perdere il controllo economico della transizione che ha ispirato.

L’Italia nel mosaico europeo

Nel 2024 le rinnovabili in Italia hanno coperto il 49% della produzione elettrica nazionale, in linea con l’obiettivo del 70% al 2030 fissato dal Pniec, ma la dipendenza energetica resta alta e il rallentamento delle nuove installazioni nel 2025 fa suonare un campanello d’allarme. Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha ricordato che “per l’Italia, al centro dell’hot-spot climatico del Mediterraneo, la transizione energetica e climatica è di vitale importanza”. Le città italiane si stanno muovendo — tra progetti Pnrr, mobilità dolce e riforestazione urbana — ma con i fondi europei in esaurimento, nel 2026 il rischio è di interrompere la spinta proprio mentre i dati climatici peggiorano.

L’economia circolare, invece, è la nota più brillante: l’Italia guida i grandi Paesi Ue per produttività delle risorse e riciclo dei materiali, ma il crollo del mercato delle plastiche riciclate mostra che anche le eccellenze possono incepparsi se manca una regia europea.

Tra due modelli opposti

Negli Stati Uniti la strategia verde è ancora trainata dall’intervento pubblico: 370 miliardi di dollari in incentivi diretti alle imprese, che hanno scatenato una corsa agli investimenti e riportato sul suolo americano produzioni strategiche. In Cina, lo Stato controlla e orienta interamente la filiera industriale della transizione. L’Europa invece procede per direttive e regolamenti, ma senza una spinta economica pubblica sufficiente. Gli investimenti restano frammentati e il rischio di delocalizzazione cresce: non a caso, molte aziende europee del fotovoltaico e dell’eolico stanno spostando la produzione oltreoceano.

Serve un cambio di passo, riconosce anche il ministro italiano dell’Ambiente Gilberto PichettoFratin: “L’Italia, con le sue leadership in settori fondamentali come l’economia circolare, ha le carte in regola per essere nel gruppo di testa di un’Europa che guardi alla transizione in modo realistico e pragmatico”. Ma realismo oggi significa anche competere.

La corsa che decide il futuro

La green economy non è più un orizzonte etico: è il terreno della competizione globale. L’Europa, per non restare spettatrice, deve difendere la propria capacità industriale e ridurre i divari interni, a partire da quelli energetici. L’Italia può giocare un ruolo strategico se trasforma le sue buone pratiche — dall’agricoltura biologica al riciclo avanzato — in un vantaggio competitivo condiviso con l’Europa mediterranea.

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