24 Marzo 2025
/ 27.01.2025

La Corte dei conti francese bacchetta il nucleare, il governo italiano lo insegue

In Italia, unico Paese ad aver bocciato per due volte con un referendum le centrali nucleari, il pressing nucleare cresce. In Francia, storico leader dell'atomo e secondo Paese al mondo per la produzione di energia nucleare, la bandiera dell’atomo sventola meno convinta.

In Italia, unico Paese ad aver bocciato per due volte con un referendum le centrali nucleari, il pressing nucleare cresce. In Francia, storico leader dell'atomo e secondo Paese al mondo per la produzione di energia nucleare, la bandiera dell’atomo sventola meno convinta.

Negli stessi giorni in cui il Disegno di legge quadro sul nucleare veniva trasmesso a Palazzo Chigi, la Corte dei conti francese rifilava una sonora bocciatura al programma nucleare nazionale. Una valutazione legata non solo alla gestione del programma, ma anche ai costi e ai tempi di realizzazione delle nuove centrali.

Ma andiamo con ordine, partendo da un dato di fatto: la partita del ritorno nel nucleare in Italia è entrata nel vivo. Nonostante i due verdetti popolari del 1987 e del 2011, il Ddl verrà messo all’ordine del giorno del primo Consiglio dei ministri utile. Contiene “tutti gli elementi ad oggi necessari per abilitare il nuovo nucleare quale tecnologia per la transizione, a partire dall’elaborazione e l’adozione di un Programma nazionale per il nucleare sostenibile”, come ha spiegato nel corso del question time il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin.

Come si legge nel Ddl, è prevista la “definizione delle condizioni, dei criteri e delle modalità, eventualmente anche mediante forme di sostegno finanziario, (…) per abilitare soggetti, anche privati, alla sperimentazione sul territorio nazionale di tecnologie nucleari avanzate, dei criteri e delle modalità per l’individuazione di siti a ciò destinati, nonché per la messa a disposizione di siti esistenti o eventualmente già destinati alla ricerca”.

Ma mentre Pichetto Fratin spinge sull’acceleratore, a molti non è sfuggita la prudenza della premier Giorgia Meloni che nei suoi interventi pubblici sul tema ha sempre parlato di “energia da fusione”, ossia di una tecnologia che nella migliore delle ipotesi sarà pronta tra 30 o 40 anni. La premier, infatti, deve fare i conti con i malumori interni a Fratelli d’Italia. Il partito appare spaccato all’interno tra nuclearisti e anti-nuclearisti, tanto che il responsabile energia di Fratelli d’Italia alla Camera ha ribattuto al ministro che ora le priorità per l’Italia in tema di energia sono altre, come abbassare il prezzo del gas.

Per l’ipotesi di sviluppo del nucleare, in ogni caso, il governo intende aprire ai privati prevedendo anche forme di incentivazione e sostegno finanziario. Non è stato però chiarito come lo Stato possa essere in grado di garantire la sostenibilità economica di lungo termine di questi progetti. Non scioglie i dubbi la Relazione illustrativa che accompagna il Ddl: parla genericamente di “definite e disciplinate eventuali modalità di sostegno alla produzione di energia da fonte nucleare, che affianchino la fondamentale iniziativa economica privata”. Fondamentale per il governo è anche che “i promotori dei progetti nucleari forniscano adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare”.

Una volta approvato in Parlamento, il governo dovrà varare entro 24 mesi i decreti attuativi. Oltre ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni dell’Unione europea e agli accordi internazionali, la vera gatta da pelare il governo l’avrà quando dovrà decidere dove costruire le nuove centrali ma soprattutto dove fare il deposito nazionale di rifiuti radioattivi. Una decisione rimandata dai tempi del governo Berlusconi. E che inevitabilmente è destinata a scatenare polemiche e a dividere.

È evidente come anche l’attuale l’esecutivo tenda a non assumersi responsabilità in un tema così scottante. Evidentemente, a Palazzo Chigi devono aver letto il report rilasciato dalla Corte dei Conti francese. A pesare sulla valutazione dei magistrati contabili francesi hanno contribuito anche gli esiti disastrosi del cantiere di Flamanville, connesso alla rete elettrica francese lo scorso dicembre dopo 17 anni di lavori e con costi schizzati a 23,7 miliardi di euro, ovvero sei volte la cifra preventivata originariamente. Secondo la Corte, i continui aumenti dei costi e le incertezze sulle modalità di finanziamento del Pnnf rischiano di screditare l’intero progetto Epr. Il programma, il cui costo era stato inizialmente stimato in 67,4 miliardi di euro, è aumentato fino a 79,9 mld di euro (+30%), che diventano oltre 100 se si calcolano i costi finanziari annessi.

L’Italia, secondo il ministro, non punta alle grandi centrali ma ai piccoli reattori modulari e ai reattori di quarta generazione raffreddati a piombo, che bruciano scorie. Tecnologie che, sempre secondo fonti governative, dovrebbero essere più economiche e sicure, ma che saranno disponibili solo nel prossimo decennio (cioè fuori tempo massimo per vincere la battaglia per la difesa del clima). Sullo sfondo c’è l’annunciata nascita, a breve, di una società italiana per il nucleare, una “newco” formata da Enel, Leonardo e Ansaldo.

Ma a smorzare gli entusiasmi verso gli Smr è il rapporto “SMall Modular Reactors – Still Too Expensive, Too Slow and Too Risky” pubblicato dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa): “Sono ancora troppo costosi, troppo lenti da costruire e troppo rischiosi per svolgere un ruolo significativo nella transizione dai combustibili fossili”.

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