È il “gemello malvagio” della crisi climatica e in tutti questi anni, in maniera scellerata, i suoi effetti sono stati sottostimati. L’acidificazione degli oceani ha ufficialmente superato il limite planetario di sicurezza, segnando un punto di svolta per la salute degli ecosistemi marini. È quanto emerge da uno studio condotto da un team internazionale guidato dal Plymouth Marine Laboratory (Pml) del Regno Unito, in collaborazione con la Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) e l’Oregon State University.
Un confine invisibile è stato superato
Fino a oggi si pensava che, pur in peggioramento, l’acidificazione marina non avesse ancora varcato il confine oltre cui gli ecosistemi globali non riescono più a mantenere un equilibrio sostenibile. Ma le nuove analisi – basate su dati storici provenienti da carote di ghiaccio, osservazioni oceanografiche e modelli climatici avanzati – raccontano una realtà più cupa: il limite planetario è stato superato intorno al 2020, ma il mondo ne prende coscienza solo adesso.
Questo limite, definito come una riduzione superiore al 20% dei livelli preindustriali di carbonato di calcio disciolto (fondamentale per la formazione dei gusci e degli scheletri di molte specie marine), è stato superato a livello globale e in modo drammatico a profondità maggiori. A 200 metri di profondità, il 60% delle acque oceaniche mondiali ha ormai oltrepassato la soglia di sicurezza.
La minaccia invisibile della CO₂
L’acidificazione degli oceani è provocata dall’assorbimento di anidride carbonica atmosferica da parte dell’acqua marina. Questa CO₂ si combina con l’acqua per formare acido carbonico, abbassando il pH degli oceani e riducendo la disponibilità di carbonato di calcio. Il fenomeno colpisce in particolare le specie marine calcificanti, tra cui coralli, molluschi, crostacei e minuscoli organismi planctonici. “L’acidificazione non è solo una crisi ambientale, ma una vera bomba a orologeria per gli ecosistemi marini e per milioni di persone che dipendono dal mare per vivere”, ha dichiarato il professor Steve Widdicombe, co-presidente del Global ocean acidification observing network.
Effetti devastanti su habitat e biodiversità
Le conseguenze sono profonde: la diminuzione del pH indebolisce i gusci di molluschi e coralli, riduce i tassi di crescita e sopravvivenza, altera i comportamenti riproduttivi e mette a rischio intere catene alimentari. Le barriere coralline tropicali, già minacciate dal riscaldamento e dallo sbiancamento, sono tra le più vulnerabili, ma anche gli ecosistemi delle profondità marine stanno subendo gravi danni.
“La maggior parte della biodiversità marina si trova sotto la superficie, non nelle acque superficiali”, ha spiegato la biologa marina Helen Findlay. “I cambiamenti più profondi sono meno visibili, ma potenzialmente ancora più gravi”.
Appello alla politica: “Serve un’azione immediata”
Il rapporto sottolinea che la sola via per invertire la tendenza globale è ridurre drasticamente le emissioni di CO₂. Tuttavia, suggerisce anche l’adozione di misure mirate di conservazione per proteggere le aree marine più sensibili e le specie già a rischio.
“Questo studio è un chiaro campanello d’allarme”, ha affermato Jessie Turner, direttrice dell’International alliance to combat ocean acidification. “Ci troviamo di fronte a una minaccia esistenziale. È ora che i governi includano l’acidificazione nei loro programmi ambientali, energetici e di sviluppo economico. Non possiamo più permetterci l’inazione”.
Il tempo è scaduto. Ma non tutto è perduto
Sebbene il superamento del limite planetario rappresenti una soglia simbolica e scientifica importante, gli esperti insistono sul fatto che ogni azione conta. Ogni tonnellata di CO₂ evitata può rallentare l’acidificazione e dare respiro agli ecosistemi marini. Il destino degli oceani è ancora nelle mani dell’umanità ma solo se si agisce ora, con decisione e su scala globale.