16 Maggio 2024
Milano, 13°

Salute

Curare attraverso la narrazione del dolore

È la funzione della Medicina Narrativa che richiede una specifica competenza volta a saper individuare le parole funzionali contenute nella “narrazione” di chi vive l’esperienza della malattia. Un approccio di tipo umanistico-narratologico, una rivoluzione copernicana. Vediamo di che “arte” si tratta.

La Medicina Narrativa è stata definita, nel 2014, dalla Consensus Conference promossa da Centro Nazionale Malattie Rare e Istituto Superiore di Sanità come una «metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa». Il termine è mutuato dall’inglese “Narrative Medicine” e l’obiettivo è la “valorizzazione” della “narrazione” di chi vive l’esperienza della malattia come elemento costitutivo di un percorso di cura formato da diagnosi, terapia, riabilitazione e palliazione.

Non si tratta, tuttavia, della necessità di dedicare ulteriore tempo all’ascolto del malato, ma della richiesta di una specifica competenza volta a saper individuare le parole funzionali, quelle da far confluire nel processo di guarigione che vede partecipi, in prima persona, “pazienti”, medici, infermieri, operatori sanitari e nuovi “curanti”. L’approccio alla persona non è, in questa nuova prospettiva, finalizzato all’erogazione di una prestazione sanitaria, ma ad una riposta alle sue più ampie esigenze. I risultati della Medicina Narrativa operano a integrazione e completamento dei dati della medicina basata sull’evidenza, per rendere le decisioni clinico assistenziali più appropriate e personalizzate. Questo approccio alla cura, intesa anche come l’insieme delle attenzioni necessarie nei casi in cui non vi sia possibilità di guarigione, proviene dalla buona medicina del passato, ma si è ampliato, nelle sue pratiche, grazie alle linee d’indirizzo della Conferenza del 2014 basate su 1.600 esperienze analizzate da una giuria di esperti. Conoscenze utili ad evidenziare il cambio di paradigma. In questa “rivoluzione copernicana”, che ha dato vita a vero un movimento culturale, il malato partecipa da protagonista con racconti verbali, storie scritte, contenuti multimediali.

Degni di nota, fanno notare gli esperti, i casi di malati che diffondono spontaneamente le loro impressioni sui social network, storie di coraggio e determinazione utili a tutti perché senza l’intervento attivo del malato non ci può essere una buona cura. Il cambiamento segna il passaggio dall’etica medica alla bioetica, dalla cura sul malato alla cura con il malato. Questa metodologia ha il pregio di unire il lavoro delle scienze nomotetiche, fatte di leggi e costanti, con quello delle scienze idiografiche, dalla sensibilità storica, che parlano di soggetti, consentendo alla letteratura di entrare a pieno titolo in questa dimensione. Anche la “ricerca qualitativa”, grazie alle “interviste in profondità”, è utile in questo contesto per osservare le interazioni tra medici, malati e ricercatore. L’approccio di tipo umanistico-narratologico fa capo ai lavori della dottoressa americana Rita Charon, la quale definisce la medicina narrativa «un’arte di tipo umanistico» che permette di riconoscere e interpretare le difficoltà delle persone. Charon sostiene che la pratica è già parte integrante del processo di cura, consentendo anche al professionista di riflettere su sé stesso

Condividi