A Tor Bella Monaca i cantieri sono tornati a far rumore dopo anni di silenzi; al Quarticciolo, invece, le assemblee di quartiere riempiono di voci gli spazi pubblici. In due delle periferie più simboliche della capitale, la rigenerazione urbana ha il volto della fiducia: un lavoro paziente che non rinnova solo edifici, ma ricuce anche relazioni. Ed è quello che il Laboratorio di Studi Urbani – Territori dell’Abitare (LabSU) della Sapienza di Roma sta portando avanti da anni, ai margini della città, dove sperimenta un nuovo modo di fare urbanistica insieme ai cittadini. Dal 2015 LabSU è infatti presente in tre aree simbolo: Tor Bella Monaca, Quarticciolo e Centocelle. E qui, in questi territori complicati, danno vita alle due facce della rigenerazione urbana: la co-progettazione civica e la ricostruzione della fiducia.
Tor Bella Monaca: vincere la disillusione
Nella narrazione mediatica e comune, il quartiere di Tor Bella Monaca è citato come una delle periferie più difficili di Roma, con problemi di degrado, criminalità organizzata e marginalità sociale. Eppure, proprio qui LabSU ha scelto di lavorare per trasformare un luogo simbolo di esclusione in un laboratorio di cittadinanza. “Noi in questo momento siamo impegnati in un grande progetto di rigenerazione urbana promosso dal Comune di Roma, e la nostra attività è focalizzata sulla mediazione, sull’affiancamento al Comune per questa progettualità”, raccontano Silvia Fazio Pellacchio e Francesco Montillo di LabSU – Tor Bella Monaca.
Una sfida complessa che parte da una condizione diffusa di sfiducia verso le istituzioni: “Una delle difficoltà principali, soprattutto nella fase iniziale”, spiega Montillo, “era legata alla disillusione degli abitanti e dalle loro difficoltà a relazionarsi con il soggetto pubblico, perché per tanti anni questi cittadini sono stati abbandonati: erano state fatte promesse che poi puntualmente sono state disattese. Quindi la difficoltà iniziale è stata quella di vincere la diffidenza”.
Con questa prospettiva, i due referenti spiegano come all’inizio i cittadini non credevano nella realizzazione del progetto che consideravano l’ennesima promessa. La svolta è arrivata solo quando sono stati allestiti i cantieri: “Ci hanno creduto solo allora. Ecco perché è fondamentale che alle azioni concrete di rigenerazione urbana si accompagnino azioni sociali e di sostegno ai cittadini”.
In un contesto segnato da disoccupazione, dispersione scolastica e precarietà abitativa, la rigenerazione, dunque, non può essere solo architettonica: “Soprattutto in un quartiere complesso come Tor Bella Monaca, che ha gli indicatori più alti della città in termini di disoccupazione, occupazione delle case popolari, disagio sociale… quello che chiedono i territori è una maggiore attenzione sociale“. E aggiunge: “I quartieri di edilizia pubblica sono pianificati con progetti a norma, non hanno grandi problemi fisici… i problemi sono la manutenzione e l’aspetto sociale. È mancato per molto tempo un accompagnamento su questi aspetti e si è alimentato l’aspetto ‘ghetto’”.
Un cantiere di 4 mila persone
Il progetto più importante in corso a Tor Bella Monaca riguarda il blocco R5, un complesso di edilizia popolare con 1.250 alloggi e quasi 4 mila abitanti: “Centodue di queste famiglie usciranno dai loro appartamenti per non fare ritorno, perché al piano terra verranno realizzati dei servizi, che in zona mancano”, spiega Montillo. E altri interventi migliorano la qualità della vita quotidiana: “Chi abita ai piani superiori vive in alloggi con problematiche di infiltrazioni, e quindi questi lavori sono migliorativi per la loro quotidianità”.
Ma la complessità non è solo tecnica: “Dialogare con i cittadini è fondamentale per capire le problematiche principali, ma anche per raccogliere esigenze specifiche. D’altro canto, però, i tempi imposti dall’Unione Europea non permettono di avere un dialogo approfondito con la cittadinanza per ogni intervento: escono i bandi e bisogna rispondere nel giro di pochi mei, non si ha proprio il tempo materiale per un confronto”. Ecco perché, in molti casi, la rigenerazione avviene con progetti “calati dall’alto”, ma viene accompagnata sempre da un lavoro costante di ascolto: “Noi lavoriamo molto affinché i cambiamenti siano comunque partecipati, anche in questi casi”, concludono.
Quarticciolo: co-progettare la fiducia
Se a Tor Bella Monaca il problema principale è la distanza tra istituzioni e cittadini, al Quarticciolo la situazione è diversa: qui esiste già una rete civica, viva e strutturata. “Il nostro lavoro è iniziato nel 2022 da un accordo con il Comune di Roma, in virtù di una relazione con alcune realtà territoriali del quartiere ben più longeva”, ricorda Serena Olcuire, di LabSU-Quarticciolo. In questo contesto, il laboratorio ha scelto di ascoltare prima di progettare: “Abbiamo partecipato ad assemblee e incontri pubblici, organizzato laboratori e momenti di confronto con le associazioni del territorio. Il ruolo della comunità è stato prioritario per ciò che riguarda l’individuazione dei bisogni territoriali”.
Gli interventi nati da questo dialogo riguardano spazi pubblici e servizi di quartiere, come il Parco Modesto di Veglia, ma anche i processi di governance condivisa: “La rete di realtà che lavorano in borgata si è costituita, quest’anno, in un polo civico, a cui abbiamo aderito anche noi del Laboratorio. Questa situazione renderà il Quarticciolo un contesto particolarmente fertile per la co-progettazione, se le istituzioni locali sapranno riconoscerlo”.
Insomma, le esperienze di Tor Bella Monaca e Quarticciolo rivelano che la rigenerazione urbana non può esistere senza fiducia reciproca. E se da una parte la sfida è ricostruire un legame con le istituzioni, dall’altra è rafforzare un tessuto civico già attivo e valorizzare la capacità progettuale. “Non so se ci sia una lezione unica da imparare da queste esperienze”, riflette Olcuire, “forse si tratta più di un invito a tornare a impegnarsi sui territori periferici, troppo spesso deliberatamente abbandonati, e a farlo insieme alle realtà che li animano ogni giorno”. L’invito è chiaro: “È necessario saperli riconoscere e supportare per re-immaginare l’azione pubblica locale e ricucire la relazione di fiducia tra cittadini e istituzioni che oggi è così logora”.
Dunque, la rigenerazione è un atto di fiducia? Guardando nel complesso le due esperienze raccontate da LabSU, emerge una definizione di rigenerazione che va oltre la dimensione fisica e architettonica, che rimanda a un processo di cura collettiva. E quindi, nel linguaggio del Laboratorio della Sapienza, rigenerare vuol dire abitare relazioni, dare forma ai legami e rendere le città un luogo di apprendimento reciproco.
