07.05.2023
Napoli e Diego sono famiglia. Con lo scudetto risorgono quelle sensazioni remote, mai sommerse, per riscoprire che l’amore popolare per il Pibe de Oro, era la fonte.
Rendere omaggio a questo personaggio è un dovere. Lo è sicuramente, non solo perché è stato uno bravo, il più bravo di tutti a far rotolare un pallone, ma perché Diego è l’icona del calcio nel vero senso denso della parola. Perché il calcio è il popolo, e Diego lo era!
Si è capito bene chi fosse Maradona dopo questa rappresentazione “registica” di Paolo Sorrentino in “Youth” del 2015, un’altra “Grande Bellezza” in cui vediamo Diego alle prese con una pallina da tennis, in mezzo al regno della rappresentazione elitaria dello Sport: un campo da tennis. La pancia comunicava molto, anche perché era diventata un pallone, che trasmette quanto il destino ha voluto ridicolizzare l’avara voglia dell’Uomo per il denaro, mentre il pallone-da-calcio era diventato una pallina-da-tennis colpita ammirevolmente e ripetutamente in alto dal piede nudo di Diego.
Lo spreco che faceva Diego del denaro sembrava ridicolizzare quella materia. La sua ira contro la ricchezza era infinita. Anche lì ha vinto lui. Ed è effettivamente il più amato e famoso di qualsiasi altro ricco mai esistito, perché i ricchi, per quanto possono diventare ricchi, alla fine si dimenticano. Qualche volta si citano, ma si dimenticano. L’amore è la vera ricchezza e il pallone per lui non era altro che un mezzo per questo goal!
Ma perché è così tanto importante parlare di Maradona in questo momento? Forse per tutto quello che rappresenta. Questa voglia del popolo di sollevarsi, di scannarsi con il potere e le regole del gioco. Di esistere. In fondo Maradona era uno che non passava il pallone. E non lo faceva per egoismo ma per agonismo. Per tutta quella semiotica anti regolamento, e per metterla dentro a tutti i costi, anche con la mano, e vincere. Quel tipo di vittoria che non era motivato dal mero guadagno, ma del puro amore per la popolarità, quella che poteva dare gioia al popolo, e noia al potere. Egli non ha a che fare con “L’antropologia del vincente” detestata da Pasolini. Il goal del Pibe de Oro era vincere l’amore del popolo.
Ma i miti, come le persone normali, hanno anche il loro lato oscuro, di cui, forse, è meglio non parlare dopo la scomparsa. Su Diego c’è da aspettarsene di ogni; come era nel gioco lo è stato anche nella vita. A proposito di gioco – e di bellezza si parla – di lui intrigava il modo in cui riusciva a sedurre i suoi avversari, oltre a sedurci. Mi interessavo spesso a quel loro incanto, dopo ogni sua giocata. Spesso mi trovavo a spostare lo sguardo per inseguire le loro espressioni facciali, buffe e innaturali. È quasi più divertente guardare gli avversari che Diego Armando Maradona, ogniqualvolta snudati dal loro ruolo mentre lui se ne andava. Vedere loro trasformarsi in spettatori, nulla facenti. Fare quello che avremmo fatto noi che seguiamo la partita dall’altra parte. Rimanere fermi con il corpo, uscire dal corpo, dal campo, mettersi seduti insieme a noi e, stupirsi. Succedeva anche questo. Quegli avversari in quell’istante sono gli avversari di Diego, e solo di Diego perché li ha disegnati lui in quel modo.
Un altro tema che ci propone Diego, appunto, è quello del fascino. Che a differenza dello stupore, è più duraturo. Sebbene entrambi (fascino e stupore) ci mettano di fronte ad una continua interrogazione sulle possibilità dell’impossibile, sono entrambi due stati d’animo che Diego conosceva l’arte di trasmettere in modo ingenuo, genuino e geniale. Di fascino e bellezza Sorrentino sa parlare meglio di tutti. Lui solleva Maradona dal caos calcistico, togliendolo alla volgarità popolare ingenua, genuina e geniale – se di volgarità popolare vogliamo parlare – e lo inserisce nel contesto del tennis – senza nulla togliere – situato in mezzo alla natura.
Diego ora è là, svirgola una pallina da tennis verde-acido, che vediamo all’inizio della ripresa salire sopra di noi contro un cielo soleggiato, e scendere poi accompagnata dal tipico sound snob echeggiante, delle partite da tennis, dove si aspetta che l’inquadratura si sposti su una delle fanciulle che indossano occhiali da sole griffati, mentre ammirano Nadal con la sua racchetta in mano, oppure John McEnroe dei tempi più remoti; la sorpresa invece continua, quella di trovarsi di fronte il Maradona panciuto che calcia e svirgola quella pallina con il suo piede nudo, volgare, come l’oro, fino allo sfinimento.
Credito fotografico:
fotgramma del film “Youth” di Paolo Sorrentino