12 Giugno 2025
/ 10.06.2025

La Nuova Zelanda in tribunale: “Non difende il clima”

A denunciare il governo della Nuova Zelanda sono state due organizzazioni che rappresentano oltre 300 avvocati esperti in diritto ambientale e climatico: Lawyers for Climate Action NZ e Environmental Law Initiative

Altro che esempio virtuoso: il governo della Nuova Zelanda è stato trascinato in tribunale per quello che gli attivisti definiscono un piano climatico “pericolosamente inadeguato”. A denunciarlo sono stati Lawyers for Climate Action NZ e l’Environmental Law Initiative, due gruppi che rappresentano oltre 300 avvocati esperti in diritto ambientale e climatico, che accusano l’esecutivo di affidarsi a strategie fragili e poco trasparenti per affrontare l’emergenza climatica. La notizia è stata riportata con ampio spazio dal Guardian.

Secondo l’accusa, il piano governativo fa troppo affidamento sulla riforestazione per compensare le emissioni, senza affrontare alla radice le attività che le producono. La climatologa Christina Hood ha definito l’impostazione “incredibilmente miope”, poiché le foreste non sono uno strumento garantito: possono morire, bruciare o non crescere abbastanza in fretta. Intanto, nessun taglio strutturale è previsto per settori chiave come l’energia fossile.

Gas sì, tutela ambientale no

Oltre alla debolezza strategica, pesa la contraddizione tra le parole e i fatti. Mentre il piano climatico punta su una presunta neutralità futura, il governo ha riaperto le porte alle trivellazioni petrolifere e agli investimenti sul gas offshore. Una mossa che sa più di ritorno al passato che di transizione ecologica. A peggiorare il quadro, c’è anche la decurtazione di fondi destinati alla conservazione ambientale: 200 milioni di dollari tolti da programmi di tutela e reindirizzati verso nuove estrazioni fossili.

E come se non bastasse, tutto questo è avvenuto nel silenzio generale: nessuna consultazione pubblica, nessun confronto con i cittadini o con le comunità indigene. “Un piano calato dall’alto”, denunciano gli attivisti, che chiedono ora che venga annullato e riscritto, con obiettivi vincolanti e un processo trasparente.

Piccolo Paese, grandi emissioni

C’è chi potrebbe obiettare che la Nuova Zelanda conti poco in termini globali, contribuendo solo per lo 0,17% alle emissioni mondiali. Ma le cifre vanno lette in proporzione: le emissioni pro capite del Paese sono tra le più alte del mondo industrializzato. Tra il 1990 e il 2018, invece di calare, sono aumentate del 57%, un record negativo tra le economie avanzate.

L’azione legale mira dunque a ottenere una sentenza che dichiari il piano attuale illegale e obblighi il governo a redigerne uno nuovo. Non solo più efficace, ma anche costruito con criteri democratici e scientifici. Un precedente che potrebbe fare scuola anche altrove, rafforzando il ruolo dei tribunali come ultima difesa del clima.

Dal caso Urgenda all’effetto domino globale

La Nuova Zelanda non è il primo Paese a finire sotto accusa per politiche climatiche inconsistenti. Il caso più celebre è quello dei Paesi Bassi, dove la fondazione Urgenda ha vinto una storica battaglia legale costringendo lo Stato a tagliare le emissioni di almeno il 25% entro il 2020. Anche in Francia, il Comune di Grande-Synthe ha portato il governo davanti al Consiglio di Stato per chiedere misure concrete: la corte ha dato ragione al sindaco, obbligando Parigi a rafforzare le proprie strategie ambientali.

Un’altra vicenda emblematica arriva ancora dalla Nuova Zelanda, dove un esponente della comunità Māori aveva già intentato un ricorso simile nel 2022, sostenendo che il piano climatico violasse i diritti culturali e territoriali dei popoli indigeni. Il caso è stato archiviato, ma ha aperto un varco politico importante.

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