14 Ottobre 2025
/ 14.10.2025

La pax trumpiana è fragile

Nonostante il successo formale, la pace tra Israele e Hamas resta incerta. Molte questioni chiave sono state lasciate volutamente irrisolte, come il disarmo di Hamas, la gestione dei territori e la questione dello Stato palestinese. Senza contare che in Israele l’intesa crea tensioni politiche interne, con partiti di destra che minacciano il governo di Netanyahu

Donald Trump ha centrato un successo diplomatico di grande risonanza: lunedì, in Egitto, è stato firmato un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, accompagnato dalla promessa di rilascio degli ostaggi. L’intesa, mediata direttamente da Washington, rappresenta il primo grande traguardo internazionale del presidente degli Stati Uniti dopo mesi di negoziati serrati, confermandolo ancora una volta come un protagonista controverso ma influente nella politica mediorientale.

Trump, che non ha mai nascosto le proprie ambizioni di essere considerato un “portatore di pace” nonostante stia portando il proprio Paese sull’orlo della guerra civile, ha mostrato ancora una volta la sua capacità di usare la leva politica americana per ottenere risultati concreti. Tuttavia, gli esperti mettono in guardia: sebbene la firma dell’accordo rappresenti un traguardo significativo, la vera sfida inizierà ora, quando la diplomazia dovrà trasformarsi in azioni concrete sul terreno.

Un accordo fragile e pieno di incognite

Il piano di pace elaborato dalla Casa Bianca, strutturato in 20 punti, ha puntato su una strategia pragmatica: facilitare la firma dell’accordo lasciando volutamente vaghi alcuni aspetti chiave. Questa scelta ha permesso di ottenere rapidamente un consenso formale, ma ora apre la porta a complesse trattative sui passi concreti, a cominciare dal disarmo di Hamas e dalla sua esclusione da un eventuale governo di Gaza.

Hamas, pur avendo accettato il quadro generale, non ha fornito garanzie sui punti più delicati, rivendicando invece un ruolo politico nel dopoguerra. “È difficile ricordare un accordo internazionale che lasciasse così tanto lavoro da fare dopo la firma”, ha osservato Jon Alterman, esperto di Medio Oriente del Center for Strategic and International Studies. Gli ostaggi, il monitoraggio del cessate il fuoco e la gestione del territorio restano questioni aperte che richiederanno un impegno diplomatico costante.

C’è poi la questione del riconoscimento dello Stato palestinese sulla quale il presidente degli Stati Uniti ha evitato di esprimere un’opinione chiara, preferendo discutere della ricostruzione di Gaza. In una conferenza stampa con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, durante il viaggio di ritorno dagli Stati Uniti al Medio Oriente, ha detto: “Stiamo parlando di ricostruire Gaza. Non sto parlando di uno Stato unico o di due Stati. Stiamo parlando della ricostruzione di Gaza”. “Molti apprezzano la soluzione dello Stato unico. Alcuni preferiscono la soluzione dei due Stati. Vedremo. Non ho ancora espresso la mia opinione al riguardo”, ha aggiunto.

Le tensioni politiche in Israele

In Israele, l’accordo si inserisce in un contesto politico interno estremamente volatile. Il governo di Netanyahu, sostenuto da una coalizione di destra fragile e spesso litigiosa, rischia di vedere minato il suo sostegno. Alcuni ministri influenti, come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, hanno già criticato duramente il cessate il fuoco, minacciando di lasciare l’esecutivo se il primo ministro continuerà a seguire la linea di Washington.

La prospettiva di uno Stato palestinese futuro, seppur teorica, rimane un punto di tensione. Dopo l’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, l’idea di una soluzione a due Stati è impopolare tra molti cittadini israeliani e potrebbe ostacolare il coinvolgimento dei Paesi arabi nel sostenere l’accordo. “Netanyahu dovrà bilanciare la pressione internazionale con le esigenze politiche interne, soprattutto in vista delle elezioni future”, sottolinea Nimrod Goren, presidente del think tank israeliano Mitvim.

Il metodo Trump

Il successo di Trump è in parte legato al suo approccio diretto e senza compromessi verso Israele. La sua presidenza è stata caratterizzata da decisioni storiche per il governo israeliano, come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale e la legittimazione dell’annessione delle Alture del Golan. Questo sostegno incondizionato ha creato la credibilità necessaria per esercitare pressione su Netanyahu senza rischiare un collasso delle relazioni bilaterali.

Negli ultimi mesi, Trump ha adottato un atteggiamento più rigido verso il premier israeliano. Dopo il raid fallito contro i negoziatori di Hamas in Qatar, ha costretto Netanyahu a scusarsi con l’emiro di Doha e, nonostante le resistenze iniziali, ha ottenuto la firma del suo piano di pace. “Trump è oggi molto più popolare di Netanyahu in Israele e dispone di una leva politica significativa: può decidere se sostenere o minare la carriera del premier”, osserva Alterman.

Durante il suo intervento alla Knesset, Trump ha cercato di stemperare le tensioni con una battuta: “Ora puoi essere un po’ più gentile, Bibi, visto che non sei più in guerra”, ha detto tra le risate dei presenti. Tuttavia, dietro il sorriso si nasconde una realtà complessa. Se Hamas rallentasse il processo di disarmo o se le pressioni dei partiti di destra israeliani diventassero insostenibili, l’accordo potrebbe rapidamente collassare, riportando la regione verso il conflitto.

Il deputato Simcha Rothman, del partito Sionismo Religioso, ha dichiarato chiaramente: “Non accetteremo nessuna vittoria parziale. Vogliamo la resa totale di Hamas”. Questo tipo di pressione interna rappresenta una delle principali incognite che Trump dovrà affrontare nei prossimi mesi, mentre cerca di consolidare la tregua.

Ancora ostaggi e vittime

Ma la tensione è ancora alta, soprattutto sul fronte ostaggi. Israele ha fissato la giornata odierna come termine ultimo per la restituzione dei corpi dei 24 ostaggi ancora nella Striscia di Gaza, dove hanno perso la vita dopo essere stati rapiti il 7 ottobre del 2023. Lo afferma l’emittente israeliana Kan, secondo la quale Israele ritiene che Hamas sia in possesso di tutti i cadaveri degli ostaggi che deve restituire in base all’accordo di pace, ma non li ha consegnati. I mediatori avevano invece sottolineato che Hamas aveva difficoltà a recuperare i resti di tutti gli ostaggi, alcuni dei quali rimasti vittime dei bombardamenti israeliani e i cui corpi sono sotto le macerie.

Una fonte vicina alla questione ha detto a Kan che “ora stiamo discutendo in modo significativo le opzioni di risposta” alla mancata restituzione dei cadaveri da parte di Hamas. Un diplomatico arabo di un Paese che ha mediato l’accordo ha dichiarato a Haaretz che i mediatori stanno lavorando sulla questione e non credono che l’accordo di Trump per Gaza sia a rischio.

I media palestinesi intanto hanno riferito che tre persone sono state uccise dal fuoco israeliano nel quartiere orientale di Shejiaya a Gaza City, sotto il controllo delle Idf in base all’accordo di cessate il fuoco.
Secondo una fonte militare, citata da Times of Israel, i tre si erano avvicinati alle truppe: i soldati hanno sparato colpi di avvertimento e, siccome i tre palestinesi continuavano ad avvicinarsi, sono stati colpiti da un aereo. L’Idf ha messo in guardia dall’avvicinarsi alle zone di Gaza sotto il controllo militare israeliano nel cessate il fuoco. Wafa denuncia che ieri sera un altro palestinese è stato ucciso a Khan Yunis. 

La firma del cessate il fuoco rappresenta un traguardo concreto per Trump e un primo passo verso la stabilizzazione di una regione da decenni in conflitto. Tuttavia, la pace resta fragile, sospesa tra la complessità delle negoziazioni e le dinamiche politiche interne di Israele e dei territori palestinesi. Gli analisti avvertono che, senza un monitoraggio costante, un impegno diplomatico sostenuto e la capacità di mediare tra le diverse fazioni, questo successo potrebbe rivelarsi solo un’interruzione temporanea di un conflitto ancora lontano dall’essere risolto.

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Ostaggi_ Israele

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