13 Ottobre 2024
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Sostenibilità

La responsabilità di comunicare il rischio ambientale

La percezione popolare del rischio ambientale e dell’industrializzazione in termini di localizzazione di impianti e fonti energetiche è di grande valore in Italia. Esistono radici storiche ben precise che hanno portato geografi, antropologi e sociologi a intuire il valore dell’approccio socio-culturale e poter ricostruire la fiducia con le istituzioni.

In ambito ambientale, tra le possibilità d’intervento per cambiamento degli stili di vita e gestione del territorio e la consapevole, sincera adesione a progetti in itinere della popolazione interessata, o almeno di gran parte di essa, si situa la percezione del rischio da parte della medesima.

La rilevanza di questo “ingrediente” è evidente nelle direttrici di studio e ricerca, talora indipendenti l’una dall’altra, che storicamente hanno avuto come oggetto il comportamento sociale dinanzi alla presenza o alla possibile, futura, determinazione di condizioni di rischio legate a fattori naturali o antropici.

Tra i primi, possiamo annoverare i più tradizionali, come la vicinanza a un vulcano o la sismicità del territorio dove insistono gli insediamenti abitativi. Nei secondi, dobbiamo includere la coesistenza delle innovative, almeno dagli anni ’60 ad oggi, tecnologie di produzione industriale ed energetica. Le prime analisi geografiche sulla percezione del rischio furono ispirate dal sentimento di opposizione, fiorito proprio in quegli anni, nei confronti della produzione di energia nucleare.

Studi che proseguirono, oltre il concetto probabilistico di rischio e il principio di precauzione, nell’attualissima direzione dell’individuazione degli elementi di differenziazione tra la posizione degli addetti ai lavori e quelli della popolazione, influenzata anche da vissuto personale, concezione del mondo, mezzi di comunicazione e altri elementi capaci di estendere o limitare le oggettive proporzioni di un fenomeno.

Negli anni successivi, all’approccio psicometrico, volto allo studio dell’individualità, si affiancò quello socio-culturale, grazie all’intuizione di geografi, antropologi e sociologi, con specifici focus che contestualizzano ambito e oggetto della ricerca. Interessanti sono le componenti, nella visione socio-culturale, che sembrano aver esercitato un peso di maggior rilievo nella definizione della percezione del rischio nelle aree industrializzate: luogo in cui si ipotizza la possibilità di venire in contatto con il fattore ambientale, specie se presenti cattivi odori o fumi, consapevolezza di poter incidere nel processo di cambiamento, fiducia nei confronti delle istituzioni.

Oggi, “le parole dell’ambiente”, come sostenibilità, ecologia, risparmio energetico, mutamento climatico, sono di uso comune nel dibattito politico, mediatico, aziendale, promozionale. Concetti di cui sono oramai noti significato e risvolti, se pur con qualche differenziazione o contestazione. Comunque la si pensi e qualsiasi sia il grado di preparazione dei fruitori di questo linguaggio negoziato e, potremmo affermare, consolidato, pare evidente il ruolo che può rivestire, in un ambiente naturale sempre più radicalmente trasformato, la comunicazione del rischio, già in alcuni casi avviata da enti preposti, e quella su stato dell’ambiente, effetti su salute, tecnologia, in un dialogo che ponga al centro la qualità della vita futura, come fine, e presente, come mezzo.

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