Viene presentato come un taglio, in realtà è un aumento. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che permette alla Russia di far crescere le sue emissioni di gas a effetto serra fino al 22% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2021.
La Russia, nel 2023 quinto emettitore mondiale di anidride carbonica (prima è la Cisa, seguita da Usa, India ed EU, dopo la Russia seguono Brasile, Indonesia e Giappone), punta a raggiungere la neutralità climatica solo entro il 2060, riconfermandosi tra i Paesi meno interessati a un taglio delle emissioni. E non a caso, essendo il Paese largamente dipendente dalle esportazioni di idrocarburi. Ora più che mai, a guerra in corso, servono le risorse economiche che solo petrolio e gas possono dare a Mosca. Il resto conta poco o nulla.
Il trucco di Putin
Con il nuovo decreto Vladimir Putin “ha incaricato il governo delle federazione Russa di garantire la riduzione delle emissioni di gas serra al 65-67% dei livelli del 1990 entro il 2035”, questo obiettivo “tiene conto della massima capacità di assorbimento delle foreste e degli altri ecosistemi” ed “è subordinato alla garanzia di uno sviluppo socioeconomico sostenibile ed equilibrato della Russia, mantenendo al contempo un accesso non discriminatorio alle attrezzature e alle tecnologie necessarie per ridurre (o prevenire) le emissioni di gas serra e migliorarne l’assorbimento”. Che significa?
L’uso del 1990 come anno di riferimento è un modo per fingersi ecologista essendo il contrario, perché allora le emissioni russe non erano ancora spontaneamente crollate a causa della fine dell’Unione Sovietica, salvo poi risalire negli ultimi anni. In realtà questo fisserebbe il livello massimo delle emissioni autorizzate a circa 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2035. È molto meno del record di 3,1 miliardi di tonnellate raggiunto nel 1990, ma circa il 22% in più rispetto al livello delle emissioni del 2021, che era di 1,7 miliardi, secondo i dati forniti dalla Russia all’ONU.
La denuncia di Climate Tracker
Climate Tracker (CAT), la NGO che segue e valuta gli impegni climatici dei vari Paesi, è molto severo nel valutare l’impegno climatico della Federazione Russa. Alla quale dà un rating complessivo di “Criticamente insufficiente”. ”Gli sforzi della Russia per affrontare il cambiamento climatico – osserva CAT – rimangono molto bassi. Le sue poche politiche pertinenti sono scarsamente ambiziose o hanno un effetto non chiaro previsto sulle emissioni. Le politiche esistenti della Russia non indicano un vero impegno per ridurre le emissioni. Il CAT stima che la Russia possa raggiungere facilmente il suo obiettivo NDC aggiornato a partire da novembre 2020 con le politiche adottate e dovrebbe quindi presentare un obiettivo più forte per il 2030”.
Non solo. Climate Tracker rivela anche un’altra possibile furbata da parte della Russia: “Nel settembre 2022 il governo russo ha fornito maggiori dettagli sul suo obiettivo di emissioni nette a zero emissioni di gas serra per il 2060. Il governo presume che entro il 2050 le foreste assorbirebbero il doppio del carbonio di quanto non facciano oggi, il che significa che tutte le altre emissioni non devono davvero raggiungere lo zero, ma devono solo essere dimezzate per raggiungere l’obiettivo netto zero complessivo. Nessuna informazione conferma un tale enorme aumento di assorbimento del carbonio. Inoltre, non sembra valutare l’impatto degli enormi incendi nelle foreste siberiane negli ultimi anni”.
L’ordine esecutivo è coerente con le politiche di Putin, che ha sempre mostrato scarso interesse nel limitare le emissioni di gas serra coerentemente con il fatto che la Russia dipende dall’esportazione dei suoi idrocarburi. L’annuncio costituisce però un ulteriore chiodo nella bara delle speranze di contenere il riscaldamento climatico entro gli 1.5 gradi. Dopo Trump e il presidente argentino Milei, apertamente negazionisti, anche Putin sceglie, camuffandolo, un obiettivo chiaro: aumentare le emissioni ignorando gli appelli degli scienziati per ridurle. E pazienza per il clima.