21 Dicembre 2024
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Ambiente, Scienza e tecnologia, Sostenibilità

La scienza propone la bioplastica all’industria

29.05.2024

Come possiamo aiutare l’ambiente senza arrestare il progresso? Dalla California nuova plastica, elastica e resistente, in grado di dissolversi fino al 90% in soli 5 mesi. Il segreto è nelle spore batteriche di Bacillus subtilis. Tutti i dettagli.

Le esigenze dell’industria contemporanea e i bisogni di sostenibilità del nostro Pianeta collidono in maniera sempre più frequente e spesso incontrollata, con una lunga serie di domande apparentemente senza risposta: come si può aiutare l’ambiente senza arrestare il progresso? Scienza e ricerca però non si sono mai arrese di fronte a sfide dalla difficile soluzione: in questa direzione va l’ultimo ritrovato dell’Università della California a San Diego, dove un gruppo di studio ha messo a punto una innovativa bioplastica la cui caratteristica è – udite udite – quella di potersi decomporre da sola.

Presentata così, la notizia sembra tratta da un romanzo o da un albo a fumetti. In realtà il lavoro è a uno stadio avanzato, tanto da aver trovato pubblicazione sull’autorevole rivista Nature Communications. Qui si spiega come i ricercatori californiani, coadiuvati nel loro studio dall’Università della Georgia, siano riusciti a creare un materiale sì plastico, ma ecosostenibile grazie a un fenomeno completamente naturale.
La nuova bioplastica si basa sul poliuretano termoplastico (TPU), materiale già ampiamente noto all’industria perché base della produzione di oggetti comuni come calzature o tappetini. Le università statunitensi hanno però scoperto che questo tipo di plastica si può dissolvere in presenza di spore batteriche di Bacillus subtilis: un ceppo già utilizzato nei probiotici, in grado di scomporre i materiali polimerici plastici, senza nessun danno per l’ambiente o per l’uomo.
Da sottolineare che si tratta di spore, cioè di batteri nel loro stato dormiente. Questo permette al Bacillus subtilis di resistere anche in presenza di condizioni ambientali avverse, assolvendo dunque alla sua funzione di «smaltitore naturale» della plastica. La riprova è giunta quando i ricercatori hanno fuso tali spore in un pellet di TPU a 135° centigradi. Il risultato ha dimostrato la bontà dell’esperimento: la creazione di strisce sottili di plastica biodegradabile.
Chiaramente non si deve immaginare una plastica che si scioglie e scompare come zucchero nel latte, ma il fenomeno è a dir poco promettente. La nuova bioplastica, se inserita a 37° nel compost (il classico terriccio organico ottenuto dai rifiuti del giardinaggio uniti a materiale fertilizzante) a un livello di umidità tra il 44 e il 55%, si è rivelata effettivamente «viva». O per meglio dire: ha ospitato la germinazione delle spore batteriche. Le quali si sono poi messe all’opera, dimostrandosi in grado di degradare fino al 90% del materiale nell’arco dei successivi 5 mesi.

Grande l’ottimismo di Jonathan K. Pokorski, che all’Università di San Diego lavora nel dipartimento di nano-ingegneria ed è tra gli autori dello studio: «La nostra plastica si decompone anche senza ulteriori microbi, e questo è notevole. La sua maggior parte non finirà in impianti di compostaggio ricchi di batteri, e potendosi auto-degradare in ambienti senza microbi potrebbe rivelarsi una tecnologia ad alta versatilità, perché molto elastica e resistente. Pur essendo altamente biodegradabile».

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