18 Maggio 2024
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Cultura

La scoperta di un Dio che parla attraverso noi

Non fanno male alla Chiesa le parole che l’archeologia suscita per il tramite della cultura antica e di una figura“nuova”: «Colui che trova il senso segreto di queste parole non assaggerà la morte». I codici di Nag Hammadi reperti parlanti.

È un ritrovamento archeologico che incuriosisce. Perché i fellhaim egiziani di Jabal el-Tarif, collina a fianco del Nilo nell’Alto Egitto, stavano scavando nel dicembre del 1945 alla ricerca del sabakh, un fertilizzante per la terra. Proprio di concime si può parlare, considerando che le parole disseppellite hanno la funzione di evocare un risveglio interiore che sa di profondo, di crescita umana, individuale e collettiva. Legati i loro dromedari, raccontò il protagonista principale della vicenda, Muhammad Ali, scoprirono con sorpresa e anche con un po’ di inquietudine, una giara contenente tredici codici chiamati oggi “Biblioteca di Nag Hammadi”. I Vangeli apocrifi di Nag Hammadi, tra cui due raccolte di “detti” denominate “Vangelo di Tommaso” e “Vangelo di Filippo”, non fanno parte, come noto, del canone ufficiale della Chiesa. Svariati spunti contenuti negli scritti in copto somigliano molto, tuttavia, ad alcuni insegnamenti dei Vangeli canonici: «venite a me perché il mio giogo è ben funzionante e la mia autorità è dolce e troverete la vostra pace» (detto 91, Vangelo di Tommaso). Oppure: «Chi cerca troverà, a chi bussa, sarà aperto» (detto 95). La figura del Gesù che traspare dai papiri conservati nel Museo Copto del Cairo, è quella di un annunciatore vicino, umano, ancor più amico.

È il Dio della porta accanto come quello dei film con Morgan Freeman e Jim Carrey, un Dio che aiuta, da immaginare col sorriso sulle labbra, a capire il mondo e te stesso. Il primo detto parla chiaro: «colui che trova il senso segreto di queste parole non assaggerà la morte». Oltre quelle parole, c’è da sentire che proprio esse narrano del trovarsi lì, in quel momento, che è il momento perfetto. Come spiegare la commovente immagine di un Dio che scaturisce quando entriamo in noi stessi senza sentirlo distante? È un messaggero in grado di spiegare all’uditore, perché lui ha capito, che se sei morto dentro non vivrai mai. Che la vita è un impegno e non un compromesso, che occorre sacrificare la via più facile per dedicarsi alla risalita, accettando in parte di non poter comprendere quelle ragioni che vorremmo avere, invece, sempre in tasca.

Non fanno male alla Chiesa le parole che l’archeologia suscita per il tramite della cultura antica e di una figura “nuova”, percepita spesso dalle persone come incasellata in contesti esterni o cristallizzata in realtà con porte fisiche d’accesso. Lo “gnosticismo” è presente nel cristianesimo originario di Marcione, Valentino, Basilide, Cerinto, Carpocrate, Simon Mago, e rifiutato anche per l’ipotesi di un Demiurgo, creatore del mondo dualista da scindere in Bene e Male, tra “invisibile” e “carcassa”. È la tradizione di cui fanno parte questi reperti, testimonianza che chi ci ha preceduto ha voluto salvaguardare, di un mondo lontano nel tempo, ma raggiungibile e non soltanto per pochi. Se di “tradizioni” si può parlare, quando il sapere che esprimono, come sempre accade per i nostri scavi, è ancora oggi capace di dialogare con noi.

 

 

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