18 Settembre 2025
/ 18.09.2025

La sete che cresce: dall’Europa assetata al Mediterraneo in fiamme

Agosto nero per l’acqua. A settembre in Italia la siccità non molla. E nei prossimi dieci anni il 40% dell’aumento della domanda elettrica in Medio Oriente e Nord Africa sarà legato a raffrescamento e desalinizzazione

Il 2025 ha consegnato all’Europa un nuovo record negativo: con il 53% dei terreni colpiti, agosto è stato il mese più secco da quando l’Osservatorio europeo sulla siccità (EDO) ha iniziato a raccogliere dati, nel 2012. È un tasso superiore di 23 punti alla media del periodo 2012-2024. Ogni mese dell’anno ha segnato un primato di aridità rispetto al passato, ma l’estate si è rivelata particolarmente dura.

La geografia della sete non ha risparmiato nessuno. In Europa orientale e nei Balcani, la siccità ha messo in ginocchio interi Paesi: in Serbia il 61% del territorio era in stato di allerta, in Bulgaria, Kosovo e Macedonia del Nord oltre il 90% delle superfici mostrava segni di stress idrico. La mancanza d’acqua ha favorito incendi devastanti, con vittime e migliaia di evacuati.

Nell’Europa occidentale la situazione non è stata migliore: in Portogallo, a luglio solo il 5% del territorio era secco, ma ad agosto la quota è schizzata al 70%. In Francia due terzi del Paese hanno sofferto la carenza idrica, con il 12% in stato di allerta, colpendo in particolare il settore vinicolo. E nel Mediterraneo orientale la sete è arrivata a livelli estremi: Armenia, Georgia e Libano hanno visto oltre il 95% dei propri territori in deficit idrico; la Turchia, con l’84%, ha combattuto roghi estesi come quello esploso nella provincia di Çanakkale.

Italia tra alluvioni e desertificazione

Mentre ricorre il terzo anniversario della devastante alluvione delle Marche – 400 millimetri di pioggia in circa 6 ore provocarono 13 vittime, 50 feriti, 150 sfollati e danni economici per oltre 2 miliardi – il Sud Italia deve fronteggiare la prospettiva opposta: la siccità estrema. In Capitanata, la desertificazione è una minaccia concreta. Nei serbatoi foggiani restano poco più di 58 milioni di metri cubi d’acqua e solo un autunno piovoso potrà scongiurare danni irreparabili. A lanciare l’allarme è l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche.

La situazione non è diversa nel resto del Sud. In Basilicata, i bacini hanno perso quasi 9 milioni di metri cubi in una sola settimana, come fosse piena estate, con un deficit di 27,5 milioni rispetto al già disastroso 2024. In Sicilia, tra agosto e settembre, le riserve sono calate di oltre 46 milioni di metri cubi: un deficit del 30% rispetto alla media quindicennale, nonostante i volumi siano lievemente superiori a quelli dello scorso anno.

Alle difficoltà idriche si somma il fattore climatico: temperature che a settembre raggiungono i 35 gradi in Sardegna e superano i 30 gradi in molte zone del Centro-Sud e perfino nella Valle d’Aosta, dove lo zero termico ha più volte superato i 5.000 metri ad agosto. I ghiacciai italiani hanno perso oltre metà della superficie in un secolo, con accelerazioni negli ultimi decenni. Secondo Greenpeace e Comitato Glaciologico Italiano, il ghiacciaio del Lys (Monte Rosa) ha perso il 33% della superficie dal 1860, mentre il Fellaria, in Valtellina, si è ridotto del 46%. Con almeno il 60% della criosfera alpina già al “peak water” (picco dell’acqua da fusione), il contributo estivo dei ghiacciai al Po è destinato a calare.

Dalla meteorologia all’energia

Ma l’impatto va oltre i confini agricoli e ambientali. In un pianeta che si scalda, l’acqua diventa il fulcro della sicurezza energetica. Nel bacino del Mediterraneo e in Nord Africa, il fabbisogno elettrico cresce a ritmi vertiginosi proprio per alimentare la sete: condizionatori che rinfrescano città sempre più roventi e impianti di desalinizzazione che trasformano l’acqua di mare in risorsa vitale.

La siccità non è solo una questione di campi assetati o di fiumi in secca. Esistono vari livelli di deficit idrico – meteorologico, del suolo, idrologico – che si combinano amplificando i danni. L’indicatore europeo li misura incrociando piogge, umidità e vegetazione: un quadro che nel 2025 racconta di un continente assetato e vulnerabile.

Medio Oriente e Nord Africa: l’acqua come motore

Secondo un nuovo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nei prossimi dieci anni circa il 40% dell’aumento della domanda elettrica in Medio Oriente e Nord Africa sarà legato proprio a raffrescamento e desalinizzazione. Dal 2000 al 2024 i consumi elettrici sono triplicati e, se le politiche resteranno quelle attuali, entro il 2035 cresceranno ancora del 50%, l’equivalente dei consumi combinati di Germania e Spagna.

Il paradosso è evidente: per contrastare la siccità servono più impianti di desalinizzazione, che però richiedono grandi quantità di energia. E se il passaggio alle rinnovabili non accelererà questo aumento della domanda si tradurrà in un incremento del consumo dei combustibili fossili che destabilizzano il clima facendo crescere il caldo.

Una sete che ridisegna il futuro

Mentre il Medio Oriente rincorre la sete con centrali e nuove tecnologie, l’Africa subsahariana vive un dramma diverso. Oltre il 40% della popolazione non ha ancora accesso stabile all’elettricità; e siccità e alluvioni, intensificate dal cambiamento climatico, minacciano la sicurezza alimentare e idrica di centinaia di milioni di persone. Dunque la mancanza è duplice: acqua potabile e infrastrutture energetiche.

Inoltre l’aumento delle temperature globali rende le crisi più frequenti e più gravi: fiumi ridotti a rigagnoli, falde impoverite, colture compromesse. E senza reti solide e diversificate, la spirale mancanza di acqua – mancanza di energia rischia di aggravare disuguaglianze e conflitti.

Dall’Europa dei vigneti inariditi alla Turchia in fiamme, dalla Capitanata assetata al Golfo che corre a costruire dissalatori, dal Sahel che affronta desertificazione e blackout fino alle Alpi che perdono i ghiacciai, la sete è diventata una delle forze più potenti del nostro tempo. È un fattore che muove politiche energetiche, bilanci statali e flussi migratori.

Il 2025 lo conferma: la crisi idrica non è solo un capitolo del cambiamento climatico, ma un importante fattore di destabilizzazione sociale. Dal Mediterraneo al cuore dell’Africa, la sete che cresce racconta un mondo che si scalda e che, senza una svolta su rinnovabili, efficienza e gestione sostenibile delle risorse, rischia di pagare un prezzo altissimo.

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