28 Agosto 2025
/ 28.08.2025

La società civile batte un colpo: parte per Gaza la Global Sumud Flotilla

Intervista a Maria Elena Delia, portavoce della delegazione italiana del Global Movement to Gaza: “Non possiamo subire in silenzio il ritorno alla barbarie medioevale”

L’espressione “società civile” poteva sembrare un po’ astratta e retorica. In fondo per società si intende la collettività e per civile il nostro livello di relazioni umane che, pur con alti e bassi, sembrava avere uno zoccolo duro sotto il quale non era possibile andare. Almeno non nei Paesi che della democrazia fanno un vanto. Ma a Gaza questo zoccolo è saltato e la difesa della civitas, intesa come comunità che si riconosce in valori condivisi, è diventata un’urgenza, un bisogno primario.

“Quello che sta succedendo da quasi due anni a Gaza è stato chiamato barbarie medioevale: mi sembra che questa definizione renda l’idea”, dice Maria Elena Delia, portavoce della delegazione italiana del Global Movement to Gaza. “E non sembra solo a me. La nostra proposta di sostegno ha trovato un consenso straordinario, devo ammettere che la misura e l’intensità delle adesioni ci hanno sorpreso: c’era un bisogno diffuso di dare un segnale, di non accettare in silenzio quello che sta succedendo”.

Facciamo un passo indietro: qual è la proposta?

“La proposta è la Global Sumud Flotilla, una flotta internazionale di barche piccole e piccolissime che muoveranno da vari porti del Mediterraneo per far arrivare soccorsi a Gaza. A ondate, partendo dal 31 agosto. A bordo saremo in migliaia. Le delegazioni organizzate di 44 Paesi e singole persone o piccoli gruppi in rappresentanza di un’altra quarantina di Paesi, molti anche asiatici. Sono arrivate anche moltissime adesioni individuali. Personaggi noti, da Greta Thunberg all’ex sindaca di Barcellona Ada Colau, s’imbarcheranno. In Italia il sostegno di figure rappresentative è molto ampio, da Zerocalcare ad Alessandro Gassmann. Ma quello che mi ha colpito è che attorno a questa iniziativa si sta aggregando un consenso trasversale, diffuso. Le offerte, anche attraverso il portale, arrivano dalla signora che ha il banchetto di frutta al mercato come dal manager di banca”.

Non è la prima volta che si cerca di arrivare a Gaza via mare.

“È vero. Io ero tra le persone che nel 2008 hanno organizzato la prima iniziativa via mare, due navi che sono riuscite a rompere il blocco e ad arrivare a Gaza. Un’iniziativa che si è ripetuta con successo dopo pochi mesi. Poi più niente. È scattata l’operazione Piombo Fuso e da allora tutte le imbarcazioni sono state fermate. A qualunque costo. Anche a costo di uccidere 10 attivisti sulla Mavi Marmara, la nave turca che nel 2010 partecipava alla missione umanitaria Gaza Freedom Flotilla ed è stata attaccata dalle forze speciali israeliane in acque internazionali”.

Questa volta andrà diversamente?

“Noi speriamo di sì: abbiamo fatto un salto di scala. La nostra è un’iniziativa umanitaria, non violenta, pacifica che rappresenta un’ottantina di Paesi. E un’opinione pubblica non più disposta a guardare dall’altra parte mentre il sistematico blocco degli aiuti fa morire di fame i bambini di Gaza e le loro madri. Mentre gli ospedali vengono bombardati una prima volta per attirare i soccorsi e una seconda per moltiplicare le vittime. Siamo di fronte alle conseguenze estreme di una politica colonialista d’occupazione che Netanyahu ha portato a livelli inimmaginabili, ma che ha radici antiche”.

Anche nelle altre occasioni Israele era di fronte a iniziative umanitarie e pacifiche e l’esercito ha sparato.

“Questa volta la misura della protesta e il livello di sostegno internazionale disegnano uno scenario diverso. Nel giugno scorso il Global Movement to Gaza ha organizzato la marcia che avrebbe dovuto raggiungere Gaza da terra, passando dalla sponda africana. Il governo egiziano ha deciso di fermare la marcia. Ma la marcia non si è fermata, si è trasformata. Abbiamo deciso di passare dal mare usando un nome che è un programma. Sumud è una parola araba che significa fermezza, resistenza, resilienza. Di questo abbiamo bisogno per allontanare la barbarie medioevale. E saremo così tanti che fermarci sarà difficile”.

Pensate di avere la forza per rompere da soli l’assedio di Gaza?

“Non da soli. Riteniamo di essere i rappresentanti di una larghissima maggioranza che non vuole più tacere di fronte all’orrore. Con la nostra azione domandiamo il ripristino dei canali tradizionali di aiuto per fronteggiare il disastro umanitario in corso. Ma Gaza non è stata colpita da uno tsunami o da un terremoto: è il governo Netanyahu a mandare i bombardieri per colpire i campi profughi, gli ospedali. Sull’insostenibilità della situazione si sono pronunciate con chiarezza le Nazioni Unite e la Corte Internazionale di Giustizia. Per questo chiediamo ai governi un minimo di coerenza. La Germania ha dichiarato che non fornirà più armi all’esercito di Israele. Se il governo italiano continuerà a tacere su questo punto sarà a tutti gli effetti complice dei massacri”.

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