25.12.2023
Invecchiarsi è una questione di testa. L’Agenzia britannica ARIA lancia il suo appello ai ricercatori a lavorare su un microchip poco invasivo da inserire nel cervello umano. Tutto è partito dalla facoltà di consentire agli umani di controllare dispositivi attraverso il pensiero. Elon Musk è già all’opera.
Chissà se diventeremo degli uomini robot, ma di certo la tecnologia potrebbe aiutarci ad allungare la vita, risolvendo problemi che oggi per la medicina sembrano insormontabili. Tutto, insomma, è nel nostro cervello: se n’è accorto (da tempo) Elon Musk, ed è entrata ora nel business – perché anche di questo si tratta – anche l’Agenzia britannica per la ricerca avanzata e l’invenzione (ovvero ARIA), che ha finanziato un ambizioso piano da 800 milioni di sterline per competere appunto con Neuralink. Lanciata solo l’anno scorso, ARIA ha recentemente emesso un appello globale per andare a caccia di idee per la ricerca, mirato alla creazione di microchip impiantabili nel cervello umano, così come appunto vorrebbe fare Musk.
Il progetto, diretto da Jacques Carolan, ricercatore capo del Neural Computation Lab all’Università di Londra, si concentra su microchip cerebrali minimamente invasivi che potrebbero rivoluzionare il modo in cui interagiamo con il cervello umano. La ricerca punta in pratica a sviluppare una tecnologia in grado di aiutare le persone affette da disturbi neurologici e neuropsichiatrici, per una sfida sociale ed economica di proporzioni significative. L’iniziativa è stata fortemente influenzata dall’ex consigliere di Boris Johnson, Dominic Cummings, che ha assegnato all’agenzia un budget sostanzioso per sostenere idee scientifiche ad alto rischio.
La differenza principale tra i due approcci scientifici è che ARIA lavora per arrivare alla “minima invasività”. L’agenzia riconosce, infatti, che gli sforzi precedenti in questo settore sono stati invasivi, complicati e costosi. E pertanto cerca di aumentare drasticamente il numero di operazioni di impianto cerebrale, rendendole quanto più possibile non impattanti. Alcune delle speranze del progetto britannico si basano inoltre sulla ricerca che dimostra come gli impianti cerebrali possano migliorare significativamente la qualità di vita delle persone affette da paralisi, consentendo loro di controllare dispositivi attraverso il pensiero. In più, la sperimentazione con stimolatori cerebrali profondi, che inviano impulsi di elettricità nel cervello, è un ulteriore ambito su ci si sta concentrando, con l’obiettivo di aiutare coloro che soffrono di depressione o ansia.
ARIA ha anche evidenziato le similitudini con i trattamenti già in uso per la malattia di Parkinson, sottolineando la validità di tali approcci nella ricerca per nuove terapie. E con una tecnologia sviluppata dalla società australiana Synchron, concorrente di Neuralink, ha ideato uno stent in grado di essere inserito nei vasi sanguigni del cervello per rilevare segnali. Scienza e tecnologia a braccetto, dunque, con una concorrenza che punta a rivoluzionare il campo degli impianti cerebrali e contribuire di risolvere problemi neurologici. Sperando che il cervello umano, quello (si pensa) più sano, non riduca tutto a una questione di soldi.