Sotto i marciapiedi del centro di Parigi scorre un’aria sorprendentemente fresca. Non si tratta di un’immagine poetica, ma di un’infrastruttura concreta: un intreccio di tubature colorate che, pescando acqua dalla Senna, alimenta la più estesa rete di teleraffreddamento d’Europa. È un sistema imponente e silenzioso che lavora senza sosta per contrastare l’effetto delle ondate di calore, diventate sempre più frequenti e aggressive.
L’acqua del fiume viene pompata, filtrata e messa in circolo attraverso una rete di 110 chilometri sotterranei, raggiungendo oltre 800 edifici tra cui il Louvre, l’Assemblea Nazionale, grandi magazzini, teatri e uffici. Il principio è simile a quello del teleriscaldamento, ma al contrario: l’acqua viene raffreddata e fatta passare attraverso scambiatori di calore che abbassano la temperatura degli ambienti. Quando la Senna è particolarmente fredda – sotto gli 8-10 gradi – il raffrescamento avviene in modo diretto, senza l’uso di ulteriori impianti. E questo vale anche in inverno, ad esempio per server e centri commerciali che richiedono un raffreddamento costante.
Serbatoi neri e tubi verdi
Il cuore di questo sistema si trova a decine di metri sotto terra. Nell’ottavo arrondissement, un tombino rivela una scala a chiocciola che porta a una centrale distribuita su quattro piani. Qui, tra serbatoi neri e tubi verdi, l’acqua scorre tra turbine e pompe con un frastuono continuo che, per chi lavora in queste viscere urbane, è diventato un sottofondo abituale. Una sinfonia tecnologica che raffredda la città in modo invisibile ma estremamente efficiente.
I benefici rispetto ai tradizionali condizionatori sono notevoli. Secondo Fraîcheur de Paris, la società che gestisce la rete (controllata all’85% da Engie e al 15% dalla RATP), il sistema consente di ridurre del 50% il consumo energetico, del 65% l’uso di acqua potabile, dell’80% quello di sostanze chimiche e ancora del 50% le emissioni di CO₂. Ma soprattutto, a differenza dei condizionatori, non surriscalda l’aria esterna, non produce rumore di fondo e non rilascia i gas refrigeranti, tra i più potenti responsabili dell’effetto serra.
E proprio il contrasto con i condizionatori è uno dei punti centrali. “Con le temperature in aumento, le città devono sostituire le soluzioni autonome come i condizionatori d’aria”, avverte Raphaëlle Nayral, segretaria generale di Fraîcheur de Paris. L’aria condizionata, spiega, è un adattamento inadeguato che rischia di rendere le città invivibili, soprattutto in un futuro non troppo lontano in cui a Parigi si potrebbero toccare i 50 gradi nei mesi estivi.
I progetti di espansione
Non è un caso che il modello parigino inizi a ispirare altre città. Se a New York la sede delle Nazioni Unite si raffredda con le acque dell’East River fin dagli anni ’50, il sistema resta raro perché richiede una pianificazione urbana complessa e investimenti rilevanti. La Francia, ad esempio, nel 2023 contava solo una quarantina di reti di questo tipo. Eppure, Parigi ha già messo in agenda un’espansione ambiziosa: da qui al 2042 la rete dovrebbe più che raddoppiare, arrivando a coprire 245 chilometri e servire circa 3.000 utenze. Il primo ospedale, il Quinze-Vingt, è già stato collegato, e nei prossimi anni si punta a includere anche scuole, asili nido e case di riposo. Per le abitazioni private i tempi saranno più lunghi, perché è necessario intervenire sugli edifici per adeguarli tecnicamente.
Un aspetto delicato è il rispetto dell’ambiente fluviale. L’acqua della Senna non entra mai in contatto diretto con quella dei circuiti di raffreddamento e non può essere reimmessa nel fiume se la sua temperatura risulta superiore di più di 5 gradi rispetto a quella iniziale. Un vincolo necessario per tutelare l’ecosistema, già messo a dura prova dai cambiamenti climatici.
Nel complesso, quella di Parigi è una lezione di urbanistica intelligente e integrata. Un progetto che mette insieme tecnologia, efficienza energetica e visione ecologica. La Senna non è più solo il fiume dei poeti e degli innamorati: è diventata anche un alleato nella battaglia contro l’emergenza climatica. Un modello che, se replicato altrove, potrebbe davvero cambiare il modo in cui le città si preparano ad affrontare il caldo estremo.