Con un annuncio che ha colto di sorpresa molti osservatori internazionali, Gazprom ha confermato la firma di un memorandum “giuridicamente vincolante” con la Cina per la realizzazione del Power of Siberia 2, un gasdotto gigantesco destinato a trasportare fino a 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso il Dragone, passando per la Mongolia tramite l’infrastruttura “Soyuz Vostok”. Un progetto tanto ambizioso quanto controverso, che non solo punta a riscrivere gli equilibri energetici dell’Eurasia, ma solleva interrogativi profondi di ordine geopolitico, economico e ambientale.
Il nuovo asse del gas
La firma del memorandum, annunciata a margine di un incontro trilaterale a Pechino tra Vladimir Putin, Xi Jinping e il presidente mongolo Ukhnaa Khurelsukh, segna una svolta simbolica e strategica nel posizionamento energetico della Russia. Dopo decenni in cui Mosca è stata il principale fornitore di gas dell’Europa (arrivando a coprire oltre il 40% del fabbisogno del Vecchio Continente), le sanzioni seguite all’invasione dell’Ucraina, unite al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico, hanno spinto il Cremlino a cercare nuove rotte, nuovi partner e nuove fonti di entrate. Il risultato è stato un netto spostamento dell’asse energetico verso Est, con la Cina come interlocutore privilegiato. Ma se per Mosca si tratta di una mossa quasi obbligata, per Pechino il discorso è più complesso.
La cautela cinese
È significativo che, nonostante l’enfasi russa, le autorità cinesi non abbiano ancora confermato ufficialmente l’accordo. Né i media di Stato, né il Ministero degli Esteri hanno rilasciato dichiarazioni sostanziali, limitandosi a ribadire la “cooperazione energetica strategica” tra i due Paesi. Questo silenzio non è casuale: da anni, la Cina resiste all’idea di dipendere eccessivamente da un solo fornitore, soprattutto in un settore critico come quello energetico.
Durante i negoziati, Pechino ha chiesto condizioni molto stringenti: prezzo del gas simile a quello interno russo e nessuna condivisione dei costi di costruzione del gasdotto. In sostanza, vuole il gas, ma alle sue condizioni. Secondo Victor Gao, presidente del “China Energy Security Institute” (citato dal “Financial Times”), l’annuncio russo sarebbe stato addirittura “prematuro”. Più un segnale politico che un’intesa commerciale definitiva.
Un progetto che sfida l’ambiente
Il Power of Siberia 2 – se mai verrà effettivamente costruito – sarà un’opera monumentale: migliaia di chilometri di tubazioni che collegheranno i giacimenti della Siberia occidentale (gli stessi un tempo diretti all’Europa) al nord della Cina, attraversando territori montani e geologicamente complessi. Secondo Alexey Miller, Ceo di Gazprom, si tratterebbe del “più grande progetto nel settore del gas a livello globale” in termini di capitale investito. Un’opera che richiederà anni di lavori, ingenti risorse finanziarie e negoziati continui.
Le sfide, però, non sono solo economiche o politiche. Sono anche – e forse soprattutto – ambientali. La costruzione e l’utilizzo del Power of Siberia 2 rappresentano un potenziale disastro dal punto di vista ambientale. Le emissioni di metano – un gas serra oltre 80 volte più potente della CO₂ – legate all’estrazione, compressione e trasporto del gas naturale sono ben documentate, e l’impatto sul fragile ecosistema siberiano e mongolo potrebbe essere enorme.
Inoltre, il progetto si pone in direzione opposta rispetto agli impegni di decarbonizzazione promossi a livello globale. La Cina, che si è posta l’obiettivo di diventare carbon-neutral entro il 2060, sta nel frattempo aumentando le sue importazioni di gas – sia via gasdotto che in forma liquefatta (Gnl) – per sostituire gradualmente il carbone. Ma l’ampliamento dell’infrastruttura fossile rischia di consolidare la dipendenza dal gas per decenni, rallentando la transizione energetica.
Anche il “Wuppertal Institute” e il “Climate Action Tracker” hanno più volte criticato i megaprogetti energetici tra Russia e Cina per il loro potenziale impatto climatico. Le stime preliminari indicano che, una volta operativo, il Power of Siberia 2 potrebbe generare centinaia di milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti all’anno, considerando l’intero ciclo del gas.
Europa divisa
Mentre Russia e Cina stringono nuove alleanze, l’Europa resta in bilico. Dopo aver tagliato drasticamente le importazioni di gas russo, l’Ue ha lanciato il piano REPowerEu per abbandonare completamente le fonti fossili russe entro il 2027. Tuttavia, la dipendenza – anche se ridotta – persiste. Paradossalmente, nonostante l’embargo, le importazioni europee di Gnl russo sono aumentate nel 2024, passando dal 15% al 19% delle forniture totali. E Paesi come Slovacchia e Ungheria, attraverso il gasdotto TurkStream, continuano a ricevere volumi significativi di gas russo, sfidando apertamente le linee guida della Commissione europea.
Il successore del Nord Stream?
Nel quadro della crescente instabilità geopolitica tra Mosca e l’Occidente, la firma del memorandum per il Power of Siberia 2 assume anche un significato simbolico e sostitutivo rispetto a un altro colosso dell’energia: il gasdotto Nord Stream. Il 26 settembre 2022, misteriose esplosioni sottomarine danneggiarono irreparabilmente i gasdotti Nord Stream 1 e 2, che correvano sotto il Mar Baltico e collegavano direttamente la Russia alla Germania. Sebbene le indagini siano ancora in corso – e un cittadino ucraino sia stato recentemente arrestato in Italia come sospetto coordinatore dell’attentato – le implicazioni politiche furono immediatamente chiare: quel gesto segnò la fine definitiva di una stagione energetica tra Mosca e l’Europa.
Il sabotaggio del Nord Stream ha anche reso evidente la fragilità delle rotte energetiche tradizionali europee. In quel vuoto, Mosca ha cominciato a consolidare la sua strategia orientale, accelerando progetti alternativi capaci di garantire flussi stabili e sicuri di gas, lontani da zone di conflitto e da possibili interferenze Nato.
Il Power of Siberia 2 – con il suo tracciato terrestre attraverso la Mongolia – si propone così come la nuova arteria energetica principale della Russia, sostituendo di fatto ciò che un tempo erano i gasdotti diretti all’Europa, Nord Stream in testa.
A differenza del percorso subacqueo del Baltico, ritenuto oggi vulnerabile ad attacchi e sabotaggi, il corridoio terrestre verso la Cina appare più facilmente controllabile da Mosca e potenzialmente meno esposto a interferenze esterne. Un vantaggio strategico evidente, in un’epoca in cui l’energia è sempre più anche un’arma geopolitica.