Respiriamo ogni giorno qualcosa che non vediamo ma che ci scava dentro: le polveri sottili, le PM2.5. Sono minuscole particelle in sospensione nell’aria, più sottili di un capello, capaci di insinuarsi nei polmoni e da lì arrivare al cervello. Ora la scienza fa un passo in più: non solo aumentano il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie, ma possono addirittura innescare la formazione di una forma devastante di demenza, quella dei corpi di Lewy.
Uno studio pubblicato su Science e guidato da Xiaobo Mao della Johns Hopkins University ha messo insieme due linee di ricerca. Da un lato, un’analisi su 56,5 milioni di cartelle cliniche di pazienti Medicare negli Stati Uniti ha mostrato come l’esposizione cronica al particolato fine aumenti il rischio di demenza da corpi di Lewy, più di quanto non avvenga per altre forme neurodegenerative. Dall’altro, gli esperimenti condotti sui topi hanno rivelato il meccanismo biologico: animali esposti per dieci mesi a dosi regolari di PM2.5 hanno sviluppato atrofia cerebrale, morte cellulare e un declino cognitivo misurabile, accompagnati da aggregati tossici di alfa-sinucleina simili a quelli che si riscontrano negli esseri umani malati.
La firma molecolare
Il dato più sorprendente è che i topi privi del gene dell’alfa-sinucleina non hanno sviluppato le stesse conseguenze, confermando che l’inquinamento agisce da miccia su una proteina già nota per il suo ruolo nella neurodegenerazione. I ricercatori hanno persino individuato una “firma molecolare” degli aggregati indotti dal particolato, un’impronta che apre la strada a nuove possibilità di intervento terapeutico.
Se i dati di laboratorio mostrano come il particolato possa “spingere” la proteina a un comportamento tossico, le analisi epidemiologiche raccontano l’impatto sulla popolazione. Secondo Jacqui Hanley, di Alzheimer’s Research UK, eliminare l’esposizione all’inquinamento atmosferico significherebbe ridurre di circa tre casi ogni cento l’incidenza della demenza, una cifra che diventa enorme se proiettata sulla scala di milioni di persone. Non si tratta quindi di un destino inevitabile o di un problema genetico: è una questione ambientale, e dunque prevenibile.
Gli studi in Gran Bretagna
Questo lavoro si inserisce in un filone di ricerche sempre più ampio. Già l’anno scorso l’Emory University aveva collegato il particolato fine alla presenza di placche amiloidi, tipiche dell’Alzheimer, anche in soggetti senza predisposizione genetica. E studi di Harvard avevano stimato un aumento medio del 4% del rischio di demenza per ogni due microgrammi in più di PM2.5 presenti nell’aria. In parallelo, il Regno Unito ha avviato il progetto Rapid al Francis Crick Institute per indagare i processi cellulari attraverso cui l’inquinamento accelera il declino cognitivo.
Limitare le emissioni non è soltanto un obiettivo ambientale, è un investimento diretto sulla salute mentale collettiva. Perché l’aria che respiriamo può essere invisibile, ma i suoi effetti sulla memoria e sulla lucidità sono più subdoli di quanto avessimo immaginato.