Le coste del Sud Australia sono state travolte da una fioritura algale tossica senza precedenti, una vera e propria “marea rossa” che ha trasformato il mare in un cimitero per migliaia di creature marine. A partire da marzo, le acque che lambiscono la penisola di Fleurieu, per arrivare fino alle spiagge di Adelaide, si sono riempite di schiume dense, colori innaturali e odori nauseanti. A causare il fenomeno è una microalga chiamata Karenia mikimotoi, già nota per la sua tossicità e per la capacità di causare vasti eventi di mortalità marina. Ma stavolta le dimensioni sono allarmanti: circa 150 chilometri di costa coinvolta, con effetti devastanti su biodiversità, economia locale e salute dell’ecosistema.
La situazione è talmente critica che la senatrice Sarah Hanson-Young ha scritto al primo ministro chiedendo di dichiarare lo stato di disastro ambientale nazionale. Secondo l’esponente dei Verdi, se lo stesso fenomeno fosse avvenuto a Bondi Beach, lo Stato federale sarebbe già intervenuto. Il governo ha risposto che sta monitorando con attenzione, ma per ora non ha proclamato lo stato di emergenza.
Un’ecatombe marina
Le immagini che arrivano dalle spiagge del Sud Australia sono impressionanti: migliaia di pesci, crostacei e perfino delfini spinti a riva, privi di ossigeno, con le branchie danneggiate dalle tossine rilasciate dalle alghe. Solo nella zona di Aldinga e Victor Harbor sono stati contati oltre 7.000 esemplari morti, appartenenti a più di 390 specie diverse. Squali, razze, pesci di scogliera, molluschi e calamari sono tra le vittime più comuni. I pescatori locali parlano di fondali “come dopo un’esplosione nucleare”. Alcuni sub hanno descritto i fondali marini come “Chernobyl sott’acqua”, un’immagine forte che rende l’idea del disastro ecologico in atto.
Flinders University, che sta monitorando la situazione insieme alle autorità ambientali, ha confermato che la mortalità riguarda non solo le specie commerciali, ma anche quelle protette e chiave per l’ecosistema. Il fenomeno potrebbe proseguire ancora per mesi, forse fino a un anno e mezzo, con ondate successive di fioriture che si estendono a nuove aree man mano che le condizioni ambientali restano favorevoli al fenomeno.
Il clima come detonatore
Alla base della proliferazione c’è un cocktail micidiale di fattori ambientali. Le acque dell’oceano meridionale, dallo scorso settembre, sono più calde della media di oltre 2,5 gradi: una vera e propria “ondata di calore marina”, che favorisce la crescita di alghe nocive. A questo si è aggiunto il rilascio massiccio di nutrienti nel mare da parte del fiume Murray, che tra il 2022 e il 2023 è stato protagonista di gravi alluvioni. L’azoto e il fosforo trasportati dai detriti hanno creato le condizioni ideali per l’esplosione delle fioriture. Infine, le correnti fredde che risalgono dal fondo – note come upwelling – hanno ulteriormente arricchito l’ambiente di nutrienti, spingendo le alghe a colonizzare vasti tratti di costa.
Secondo gli scienziati, tutto questo è perfettamente coerente con quanto ci si aspetta dagli effetti del cambiamento climatico. L’aumento delle temperature marine, unito a eventi meteorologici estremi come piogge torrenziali e lunghi periodi di calma, favorisce fenomeni come questo.
La crisi economica dei pescatori
Le conseguenze economiche sono pesanti. I pescatori locali sono fermi da settimane: le reti tornano vuote, i calamari sono spariti, e le ostriche non possono essere raccolte a causa del rischio tossine. Nathan Eatts, pescatore commerciale, ha raccontato ai media australiani di non aver più visto un calamaro da Pasqua. La sua azienda è sull’orlo del collasso, come molte altre attività legate al mare. Ristoranti, pescherie, mercati del pesce e interi comparti produttivi stanno subendo crolli fino al 70% delle vendite.
Anche il turismo costiero ne risente: le spiagge sono impraticabili, i bagnanti evitano le zone interessate, e l’immagine stessa della costa sud australiana, finora celebrata per la sua bellezza, rischia di restare associata a un disastro ambientale di proporzioni inedite. Il valore economico del settore pesca e turismo in South Australia si aggira intorno ai 500 milioni di dollari all’anno, una cifra messa ora a serio rischio.
Una risposta ancora troppo debole
Finora, la risposta delle istituzioni è stata lenta e frammentaria. Il governo federale ha promesso nuovi fondi per rafforzare i modelli predittivi e migliorare i sistemi di allerta precoce, ma non ha ancora dichiarato formalmente lo stato di emergenza. La senatrice Hanson-Young ha annunciato che i Verdi presenteranno in Parlamento una mozione per istituire un’indagine ufficiale e sbloccare almeno 4 milioni di dollari l’anno per affrontare l’emergenza e prevenirne di future.
Nel frattempo, alcune università e centri di ricerca stanno studiando la possibilità che un’altra alga – la Noctiluca scintillans, non tossica – possa competere con la Karenia mikimotoi e ridurne la diffusione. Si tratta di una speranza ancora molto lontana da una soluzione definitiva, perché questa alga “buona” in caso di proliferazione eccessiva può essa stessa causare danni.
Questo evento ha messo a nudo la fragilità degli ecosistemi costieri e la lentezza con cui spesso si reagisce a disastri annunciati. Il Sud Australia sta vivendo oggi una crisi ambientale che, con tutta probabilità, si ripeterà anche altrove se non si interviene con politiche più incisive.