22 Novembre 2024
Milano, 2°

Sport

Le abbiamo perse tutte, ma nel calcio c’è chi gioca e chi guida

13.06.2023

Vabbè, le abbiamo perse tutte e tre. Ma a mente fredda: chi ci avrebbe scommesso un euro a inizio stagione? Siamo tornati nel calcio che conta, tre squadre nelle finali europee, cinque se contiamo le semifinali, il che vuol dire una percentuale di presenza da potenza del football. Ma lo siamo?

Diciamo che il calcio italiano è diventato un po’ strabico: da una parte c’è chi a pallone ci gioca, dall’altra chi invece lo guida. La differenza non è poca, anzi il solco tra le due anime si sta progressivamente allargando. Il nostro è un calcio pieno di debiti, ma anche pieno di talento. Nel quale molto si improvvisa, ma spesso c’è l’ingegno dei migliori. Quello che il mondo ci riconosce.

E allora, partiamo dalle certezze: non c’è dubbio che l’Italia abbia gli allenatori più bravi del mondo. E non è neppure un caso che uno come Haaland nella finale di Champions League non abbia praticamente toccato palla: davanti a lui c’era un difensore di quelli che se vieni a giocare in serie A è meglio che ti prepari al peggio. È sempre stato così, non è cambiato nulla. Magari dovremmo ricominciare a investire sugli attaccanti, ma questa è appunto l’altra faccia della medaglia. Insomma, non siamo così male, siamo noi a dipingerci così. Poi però quando scendiamo in campo la differenza la facciamo ancora, abbiamo giovani all’altezza, preparatori preparati, tecnici con idee moderne. Siamo bravi noi italiani (e Italiano, in fondo, ma quella difesa alta al novantesimo, mannaggia).

Però, poi, appunto ci mettiamo il contorno. Quello che fa di noi un calcio di serie B in Europa, e non è il fatto di non avere più soldi in cassa, ma di come li spendiamo. Il nostro mondo del pallone è un po’ a metà tra un film di Totò e “Il colore dei soldi”, e se anche ci si ricorda ancora ridendo del mitico presidente del Catania Massimino («Nel calcio ci vuole amalgama? Ditemi dove gioca questo Amalgama che lo compro»), in realtà in cuor nostro sappiamo che lui, in fondo, è un autorevolissimo antenato dei giorni nostri. Le fotografie del presente parlano chiaro. Basta, per esempio (non esaustivo): fallire la qualificazione per il secondo mondiale consecutivo e dire che non è giusto vedere certe squadre in Qatar al posto nostro; sentir parlare il presidente della Federazione, quello che dice che il patteggiamento (ovvero l’ammissione di colpa) in un processo sportivo che verte su bilanci taroccati «è il risultato più bello per il calcio italiano»; assistere a una riunione di Lega Calcio (il format di solito è «Lotito contro tutti»); vedere una squadra che non vince il campionato da 33 anni celebrare il trionfo con la rottura tra presidente e allenatore. Sono solo frammenti di un quadro ben più ampio.

E allora: siamo tornati? La risposta non ha certezze, potrebbe essere solo un caso, oppure la ribellione a una mediocrità che non fa onore alla storia del nostro calcio. Gente come Akanji, Aké, Stones e Rodri, è costata in certi casi meno di tanti acquisti fatti da società che qui da noi, sui giornali, passano per essere sempre geniali. Son giocatori che in Italia nessuno avrebbe cercato e che ora sono campioni d’Europa, perché va bene avere miliardi da spendere, ma poi dipende come li spendi (vero PSG?).

Credito fotografico:
Ct Roberto Mancini

Condividi