1 Luglio 2025
/ 1.07.2025

Le acque calde minacciano l’Antartide

Ricostruito dal Cnr il meccanismo in grado di minare la stabilità del ghiaccio dell’Antartide provocando una deglaciazione che ha il potenziale per un innalzamento del mare di 60 metri

Attenzione. Quella che state per leggere è la tipica notizia che finisce, opportunamente travisata, sui siti negazionisti per alimentare la campagna contro la transizione ecologica. E il metodo usato è sempre lo stesso: prendere un frammento di realtà; inserirlo in un contesto diverso; presentare la falsificazione della realtà come una prova; far leva sul disagio di chi si sente debole e ha paura del cambiamento per colpire la difesa del clima.

La notizia viene da un comunicato del Cnr. I ricercatori hanno scavato nei sedimenti marini prelevati dalla Joides Trough, nel settore occidentale del Mare di Ross, in Antartide. Grazie a biomarcatori, microfossili e analisi sedimentologiche, hanno ricostruito 40.000 anni di storia dell’interazione tra oceano e ghiaccio. E hanno fatto una scoperta importante. Dopo il picco glaciale, circa 20.000 anni fa, le acque della Corrente circumpolare profonda hanno cominciato a risalire la scarpata continentale dell’Antartide, insinuandosi sotto la piattaforma di ghiaccio e iniziando a eroderla.

“Abbiamo scoperto che l’intrusione di acque calde in questa area è strettamente collegata a uno spostamento verso sud dei venti occidentali ed orientali, che ha permesso alle masse d’acqua profonde di raggiungere la piattaforma continentale”, spiega Tommaso Tesi, ricercatore del Cnr-Isp. “L’antica piattaforma era molto più estesa di oggi, copriva circa 1.000 chilometri in più nel Mare di Ross. Comprendere come e perché si è ritirata allora è essenziale per prevedere cosa potrà accadere adesso, in un contesto climatico simile”.

La trappola negazionista

E qui scatta la trappola negazionista. “Se è già successo”, dirà chi è ben allineato agli interessi dei venditori di combustibili fossili, “vuol dire che è un processo naturale. L’azione dell’uomo non c’entra”. Peccato che una differenza ci sia. Ed è fondamentale: l’elemento tempo. Prima che il fattore umano entrasse in campo, le conseguenze del passaggio da un ciclo di glaciazione a uno di deglaciazione si misuravano in un arco temporale di oltre 10 mila anni.

Adesso i tempi hanno subito un’accelerazione drammatica. Cambiamenti profondi, come quelli che stiamo sperimentando, si misurano nell’arco di una generazione. E hanno conseguenze che si proiettano nei millenni. In questo caso il Cnr tiene a chiarire che la piattaforma di ghiaccio del Mare di Ross è un cardine della stabilità del continente antartico. Funziona come un “contrafforte” naturale che trattiene il ghiaccio dell’entroterra. Se cede lei, cede anche il ghiaccio che sta dietro. Ecco perché l’ingresso di acque più calde alla sua base è così pericoloso.

“Il sistema ghiaccio-oceano è altamente interconnesso: variazioni nelle correnti oceaniche possono non solo contribuire alla fusione della piattaforma di ghiaccio di Ross, ma anche determinare la perdita di ghiaccio continentale”, avvertono Chiara Pambianco, prima autrice del paper, e Tommaso Tesi, coautore del paper e ricercatore del Cnr-Isp. In gioco c’è un innalzamento potenziale del livello del mare che potrebbe superare i 60 metri se tutta la calotta antartica dovesse collassare, anche se un simile scenario resta al momento teorico e lontano nel tempo.

In un’epoca in cui le correnti oceaniche si stanno già modificando per effetto del riscaldamento globale, la scoperta di un meccanismo che ha portato al collasso glaciale nel passato diventa un’allerta per il presente. L’Antartide è uno degli snodi più fragili e cruciali per il destino climatico della Terra. “Con questo lavoro offriamo una visione nuova sui processi che hanno governato la perdita di ghiaccio nell’Antartide in passato. Processi che oggi stanno tornando attivi sotto la spinta del cambiamento climatico”, concludono i due ricercatori.

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