19.07.2024
Il 98% delle nostre imprese sono PMI e rappresentano il vero cuore pulsante della nostra industria. Ma sono alla ricerca di professionisti in settori che i giovani italiani trovano poco di prestigio: vogliono mettere a frutto i propri titoli di studio. Analisi e prospettive.
Trovare lavoro spesso sembra una missione impossibile, ma anche trovare lavoratori pare essere parecchio complicato. Questo almeno è quanto emerge da una ricerca condotta da I-AER, Institute of Applied Economic Research, su 981 piccole e medie imprese (Pmi) italiane. Stando ai dati raccolti, il 70% di queste hanno difficoltà a reperire manodopera. Ciò è vero in tutti i settori: da quello delle costruzioni al ricettivo, dall’agricolo al manifatturiero.
In Italia ci sono oltre 4 milioni di imprese, delle quali il 98% sono PMI (ovvero hanno meno di 250 occupati, un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro). Sono il vero cuore pulsante dell’industria del Paese, e il fatto che siano distribuite capillarmente su tutto il territorio le rende cruciali a tutti i livelli. Perché funzionino, è ovvio, è necessario l’impiego di forza lavoro: è stato calcolato che tra il 2024 e il 2028 saranno necessari tra i 3,1 e i 3,6 milioni di occupati che però si fa fatica a reperire.
Mancano sviluppatori di software, specialisti in cybersecurity, analisti di dati, operai qualificati, tecnici di manutenzione e specialisti in automazione industriale, carpentieri, muratori ed elettricisti. Ma anche autisti di camion e operatori di magazzino, cuochi, camerieri e addetti alle pulizie, lavoratori stagionali e specializzati nella raccolta e produzione agricola.
Ma se esistono così tante PMI che cercano personale e ci sono così tanti lavoratori che cercano impiego, com’è possibile che domanda e offerta non si incontrino? Le cause sono molte, alcune ovvie e altre meno scontate. Prima di tutto c’è un disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle messe a disposizione dai candidati.
Si cercano operai e tecnici, ma sempre più di frequente gli italiani preferiscono non accettare impieghi nell’edilizia, nell’agricoltura, nell’allevamento e nella pulizia preferendo occupare posti percepiti come più di prestigio. Rispetto al passato è cresciuto notevolmente il numero delle persone che raggiunge la laurea o prosegue gli studi anche oltre, e tutti si aspettano (giustamente) di poter mettere a frutto i propri titoli. Ci sono poi da considerare le condizioni contrattuali e salariali offerte dalle piccole e medie imprese, meno vantaggiose di quelle messe sul piatto dalle multinazionali che si accaparrano il grosso della manodopera disponibile. Inoltre, in un’azienda di piccole dimensioni è difficile intravedere prospettive di crescita e scatti di carriera, cosa che invece appare più possibile in una struttura più grande. Spesso poi chi ha l’esperienza richiesta ha anche un’età per cui la pensione è prossima: il progressivo invecchiamento della popolazione intacca anche le dinamiche occupazionali.
Certo spetta prima di tutto alle PMI di mettersi in gioco cercando di trovare soluzioni efficaci, ma riallineare domanda e offerta di lavoro è una sfida che va affrontata prima di tutto e più in fretta possibile dal mondo della politica. Sono necessarie misure concrete che aiutino le aziende in questo senso, ma anche che mettano a disposizione dei lavori strumenti e possibilità di formazione.