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Economia

Le transizioni verde e digitale e la produttività delle imprese

19.03.2024

Studio della Bce (che esamina anche i benefici del telelavoro)

Roma, 19 mar. (askanews) – Gli investimenti sulle tecnologie digitali possono avere effetti positivi sulla produttività, ma soprattutto per alcuni tipi di imprese in grado di massimizzarne le ricadute, laddove in media l’effetto è trascurabile se non nullo. Le strette normative della transizione verde, invece, hanno un effetto che è addirittura peggiorativo sul breve e medio termine sulla produttività, ma col tempo questo contraccolpo finisce per riassorbirsi. Le nuove tecnologie più verdi possono invece dare ricadute positive anche sull’immediato, oltre che sul lungo periodo.

Sono alcune delle conclusioni chiave a cui giunge uno studio condotto da alcuni esperti della Banca centrale europea, anticipato rispetto al Bollettino economico che verrà pubblicato giovedì.

L’analisi – intitolata “L’impatto dei recenti shock e dei cambiamenti strutturali in atto sulla crescita della produttività dell’area euro” – parte da un esame degli effetti delle misure restrittive messe in campo tra 2020 e 2022, a motivo del Covid, sempre in merito alla produttività di imprese e lavoro. E poi guarda alle ricadute delle strette normative sui criteri verdi e ambientali e a quelle degli investimenti su tecnologie digitali.

Nell’ottica di guardare al futuro della competitività nell’area euro, sono soprattutto gli ultimi due aspetti, si spera, quelli che dovrebbero richiamare una maggiore attenzione.

Va subito precisato che lo studio non guarda nel dettaglio l’aspetto dell’intelligenza artificiale, che negli ultimissimi anni ha visto sviluppi diffusi e iniziative da parte di molte multinazionali, una crescente attenzione mediatica e dei poteri pubblici. Questo tema potrebbe essere oggetto di ulteriori analisi da parte della Bce.

Per quanto riguarda la transizione verde “potrebbe ancora spingere la crescita della produttività, ma questo richiederà tempo. Sul breve e medio termine – afferma lo studio nelle sue conclusioni – l’aggiustamento delle imprese ai cambiamenti sui costi dovuti alle tasse carbonio o a tensioni geopolitiche, che si aggiunge a nuovi limiti e standard, assieme all’eliminazione di capitale allocato su attività ad alta CO2, ridurranno le emissioni come voluto, ma è anche probabile che riducano la crescita della produttività”.

Qui la formula “breve e medio termine” va intesa come un periodo di circa 4-5 anni da quando entra in vigore un inasprimento normativo su questi aspetti, come sulle emissioni.

Anche la riallocazione delle risorse da settori a alta intensità di carbonio può avere impatti negativi sulla produttività. “Tuttavia – aggiunge lo studio – ci si attende che politiche ambientali più stringenti inneschino una nuova ondata di innovazioni verdi e di nuove tecnologie che aumenteranno la produttività sul lungo termine”.

Passando agli effetti della transizione digitale, l’analisi offre cifre non proprio esaltanti, anzi deludenti se messe a raffronto con l’enfasi che solitamente viene utilizzata nel descrivere i presunti benefici di questi politiche. Ma ci sono delle precisazioni da fare.

Ma procedendo con ordine, sulle cifre lo studio cita un’altra analisi che è stata condotta in Francia e Austria sulle imprese che effettuano investimenti di questo genere. La stima è che “in media un aumento dell’1% degli investimenti in tecnologie digitali porterebbe a uno 0,06% di aumento nella produttività del lavoro e a uno 0,007% di aumento della Produttività totale dei fattori (Tfp) dopo sei anni”.

La Bce ha ulteriormente guardato a questi aspetti effettuando una simulazione sulle imprese di 13 paesi dell’area euro che “conferma che i guadagni di produttività dalla digitalizzazione sono altamente eterogenei tra settori e imprese. La stima suggerisce che un 1% di aumento di investimenti digitali in un settore è associato con una accelerazione nell’anno successivo di circa 0,02 punti percentuali nella crescita della produttività totale dei fattori in quel settore”. Insomma, praticamente zero.

Ma appunto si tratta di medie. Secondo lo studio per beneficiare delle degli investimenti sul digitale le imprese devono avere particolari caratteristiche. In genere il vantaggio risulta molto più elevato, fino a 17 volte di più elevato, secondo gli esperti della Bce, quando le imprese che investono in digitale sono di maggiori dimensioni, dispongono di un organico in cui sono presenti persone qualificate e specializzate sui settori tecnologici (Stem), oppure sono in grado di accompagnare gli investimenti con programmi di formazione. E inoltre devono essere in grado di sfruttare queste leve anche a livello gestionale e di capacità manageriali.

“L’adozione di tecnologie e digitali da parte delle imprese ha dimostrato di spingere la crescita della produttività. Tuttavia l’impatto a livello di singola azienda della digitalizzazione è stato ad oggi relativamente modesto. Una delle principali ragioni per questo potrebbe essere che solo poche imprese, quelle più vicine alle tecnologie di frontiera, hanno tratto beneficio dalla digitalizzazione. Altre aziende – rileva la Bce – devono investire di più su qualifiche digitali e complementari per trarre pienamente beneficio dei guadagni di produttività dalla digitalizzazione”.

Infine un ulteriore aspetto che vale la pena di menzionare è una specifica valutazione su telelavoro e lavoro da remoto (quello che in Italia si continua a chiamare con il pseudo neologismo “smart working”). Lo studio guarda a quanto avvenuto nel 2020-2021. Per l’immediato l’effetto dell’aumento del telelavoro “può influire sulla produttività tramite vari canali. Innanzitutto può portare a maggiore efficienza, grazie al risparmio di tempo che in parte si traduce in maggiori ore lavorative. Inoltre può risultare in una riduzione del capitale richiesto affinché l’impresa possa operare, specialmente sull’immobiliare. Terzo, il telelavoro ha il potenziale di accelerare la digitalizzazione”.

Ma “quarto – dice ancora lo studio della Bce – il telelavoro può avere un impatto avverso nel modo con cui le squadre collaborano, dato che il lavoro da remoto è percepito da alcuni come un calo dell’interazione, dello spirito di squadra e delle sinergie tra colleghi”.

Su questo elemento, che è diventato strutturale in molte aziende, secondo la Bce sembra esserci una sorta di livello ottimale in cui si fa un uso combinato del telelavoro con un uso parziale del lavoro “tradizionale” in presenza. Ma questo equilibrio risulta estremamente variabile e differenziato a seconda delle imprese e dei dei settori coinvolti. (di Roberto Vozzi).

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