21.12.2024
“Ho detto all’Unione Europea che devono compensare il loro enorme deficit con gli Stati Uniti con l’acquisto su larga scala del nostro petrolio e del nostro gas”, il diktat minaccioso del neoeletto Presidente apre subito alla nuova era nei rapporti tra L’Occidente oltre-atlantico e Vecchio continente. USA e UE ancora compatibili? L’editoriale.
A un mese dall’insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump alza la voce contro l’Europa, colpevole, a suo dire, di uno sbilancio negli scambi commerciali tra le sponde dell’Atlantico. «Ho detto all’Unione Europea che devono compensare il loro enorme deficit con gli Stati Uniti con l’acquisto su larga scala del nostro petrolio e del nostro gas», ha tuonato Trump su Truth, il suo social personale. «Altrimenti, saranno dazi a tutto spiano!!!».
Una posizione non inedita, che ricalca quella della sua prima presidenza (2017-2020). La visione di Trump resta essenzialmente privatistico-familiare, senza particolare comprensione delle dinamiche dei rapporti internazionali. Nella sua visione gli Stati Uniti sono un mercato ricco che gli altri Paesi “aggrediscono”, vendendo i propri prodotti a scapito di quelli americani. Secondo Trump, i Paesi dovrebbero ricambiare la possibilità di esportare negli USA importando da essi una cifra pari, oppure pagare l’accesso al mercato statunitense, tramite appunto dei dazi.
L’UE non si è scomposta più di tanto, affidando la risposta a un portavoce della Commissione, senza scomodare la presidente Ursula von der Leyen. «I fatti sono che UE e USA hanno economie profondamente integrate. Siamo pronti a discutere con Donald Trump su come possiamo rafforzare la nostra cooperazione, anche nel settore energetico. C’è già un alto livello di complementarità nelle relazioni commerciali tra UE e USA». Un modo diplomatico per evitare lo scontro prima ancora che il repubblicano inizi formalmente a governare, per due diversi motivi.
Il primo è l’incertezza all’interno degli stessi Stati Uniti, le cui spaccature politiche impediscono ormai di approvare la legge di bilancio nei tempi previsti, costringendo ad andare avanti a colpi di proroghe trimestrali, ciascuna delle quali diventa campo di battaglia tra le opposte fazioni. Solo nella notte tra il 20 e il 21 dicembre, a poche ore dalla scadenza, il Congresso è riuscito ad approvare una mini-finanziaria che evita l’esercizio provvisorio fino a marzo 2025. Trump era riuscito a bloccare una prima versione del provvedimento, in parte per far ricadere su Biden il blocco di tutte le attività “non essenziali” e presentarsi come il restauratore dell’ordine e del funzionamento. Infine, una quarantina di deputati repubblicani ha votato contro le indicazioni di Trump, consentendo al Congresso di far passare in extremis una finanziaria parzialmente ridotta, salvando gli stanziamenti per le emergenze (110 miliardi di dollari) ma anche il controllo del traffico aereo, senza il quale si sarebbero colpite le vacanze di Natale. Se Trump vorrà paralizzare lo Stato, dovrà farlo sotto la propria responsabilità in primavera.
Il secondo motivo riguarda l’articolazione del commercio internazionale. Nel settore della Difesa, per esempio, sono gli USA a non acquistare in Europa. L’esportazione di energia, soprattutto in un momento di prezzi bassi, svuoterebbe le riserve americane senza benefici occupazionali. Per altri prodotti, il problema è normativo: dalla privacy all’alimentare, gli USA adottano standard piuttosto bassi e sono perciò invendibili in UE. Ancora, molti prodotti tecnologici europei sono già costruiti in USA e, al tempo stesso, le imprese USA preferiscono produrre all’estero per risparmiare.
Trovare un unico punto di equilibrio sembra difficile. È altamente improbabile che i dazi possano, da soli, sciogliere questi e altri nodi. Proprio per questo Trump sarà costretto a fare i conti con la realtà, rinunciando al massimalismo e sedendo al tavolo delle trattative.