Il Rapporto Europeo sulla Salute 2024, recentemente pubblicato dall’Oms Europa, fornisce un quadro dettagliato sullo stato di salute dei 54 Paesi che ne fanno parte. Tra i vari temi trattati, un intero capitolo è dedicato agli impatti del cambiamento climatico sulla salute e al ruolo del settore sanitario come fonte di emissioni di gas serra. Uno dei dati più preoccupanti riguarda l’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore: 19 delle 23 ondate di calore più gravi osservate in Europa dal 1950 si sono verificate dopo il 2000, di cui quattro tra il 2021 e il 2023. Le persone over 65, tra le più vulnerabili, nel 2023 sono state esposte a un numero di giornate di calore estremo ben superiore alla media del periodo 1986-2005.
Nel 2023, due ondate di calore particolarmente intense – a metà luglio e a fine agosto – hanno colpito in modo significativo Italia, Spagna e Germania. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto ISGlobal di Barcellona ha studiato l’impatto del fenomeno in 35 Paesi europei, stimando un eccesso di mortalità pari a 47.690 decessi.
L’Italia tra i Paesi più colpiti
L’Italia è risultata tra i Paesi più colpiti, con un tasso di mortalità di 209 casi per milione di abitanti, dietro solo a Grecia (393) e Bulgaria (229). Il numero totale di decessi stimati nel nostro Paese è stato di 12.743, con una netta prevalenza tra le donne (8.388 casi contro 4.436 negli uomini). Gli anziani oltre gli 80 anni sono la fascia più a rischio, con una probabilità di morte sette volte superiore rispetto ai soggetti tra i 65 e i 79 anni.
Dopo la devastante ondata di calore del 2003, che molti ricordano, sono stati adottati piani di prevenzione a livello locale e nazionale, che includono migliori sistemi di allerta, una maggiore diffusione in ambienti pubblici e privati di aria condizionata e programmi di assistenza sociale e sanitaria alle fasce più vulnerabili. Secondo gli stessi ricercatori di ISGlobal, queste misure hanno contribuito a ridurre la mortalità da ondate di calore di circa l’80%.
Tuttavia, il successo relativo di queste strategie non deve alimentare false illusioni sulla possibilità di adattamento a condizioni ambientali anche estreme. I limiti della fisiologia umana, la struttura delle città, specie nelle aree più disagiate, con l’effetto delle “isole di calore”, pongono un tetto alle possibilità di adattamento.
Nel 2024, la temperatura media globale ha superato per la prima volta la soglia critica di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, il limite fissato dall’Accordo di Parigi per evitare conseguenze irreversibili. Se l’aumento delle temperature globali non verrà contenuto, le politiche di adattamento – pur essenziali – non saranno più sufficienti da sole per proteggere la popolazione. È quindi sempre più urgente mettere in atto misure di mitigazione per ridurre le emissioni di gas serra ed evitare nel medio periodo il superamento di punti di non ritorno climatici.
Le responsabilità del settore sanitario
In questo scenario, i sistemi sanitari non possono restare a guardare. Oggi il settore sanitario è responsabile del 5% delle emissioni globali di CO₂, con picchi che arrivano fino all’8% in alcuni Paesi europei.
Riorganizzare il sistema in un’ottica di sostenibilità ambientale è una sfida fondamentale, che può contribuire non solo a ridurre l’impatto del settore sulla crisi climatica, ma anche a rafforzare la resilienza delle strutture sanitarie di fronte a eventi estremi sempre più frequenti e a rappresentare un esempio per le azioni che altri settori della società possono intraprendere per ridurre le loro emissioni di gas serra.
La relazione tra cambiamento climatico e salute pubblica è ormai una realtà concreta. Agire in modo deciso, combinando adattamento e mitigazione, non è più un’opzione, ma un’urgente necessità.