27 Agosto 2025
/ 27.08.2025

L’India e la corsa verde: metà della capacità elettrica ora non è fossile

Il record verde viene celebrato dal governo indiano ma le Ong invitano a leggere il dato con cautela: il carbone resta il re dell’energia indiana e solo il 13% dei consumi elettrici è green

Sotto il sole rovente del Gujarat, i pannelli solari si estendono a perdita d’occhio come un mare di specchi. È l’immagine che il governo indiano ama mostrare per raccontare un cambiamento che, almeno sulla carta, appare storico: metà della capacità di produzione elettrica del Paese proviene oggi da fonti non fossili. È un traguardo che sarebbe dovuto arrivare nel 2030, secondo gli impegni dell’Accordo di Parigi. Invece, con cinque anni di anticipo, Nuova Delhi ha annunciato di averlo già raggiunto.

La cifra è imponente: 242,8 gigawatt di capacità installata su un totale di 484,8. Il solare guida la transizione con oltre 116 gigawatt, seguito da idroelettrico, eolico, bioenergia e nucleare. In dieci anni la capacità rinnovabile è triplicata e l’India è oggi il terzo Paese al mondo per potenza solare, dietro solo a Cina e Stati Uniti. Non stupisce che il ministro dell’Energia, Pralhad Joshi, abbia parlato di “un passo da gigante verso un futuro più pulito”.

Eppure, dietro ai numeri si nasconde una realtà più complessa. Perché se la capacità cresce, la produzione effettiva non segue lo stesso ritmo. Tre quarti dell’elettricità consumata nel Paese più popoloso del mondo continua a venire dal carbone, con le rinnovabili ferme intorno al 13%. “Non bisogna confondere capacità e produzione”, avverte Avantika Goswami del Centro per la scienza e l’ambiente di Nuova Delhi. In altre parole: l’India ha costruito centrali e impianti verdi, ma la maggior parte dell’energia che scorre nella rete resta nera di carbone.

La sfida principale è quella dell’intermittenza. Sole e vento sono fonti abbondanti ma non costanti, e senza sistemi di accumulo efficienti l’elettricità prodotta rischia di disperdersi. Al momento, l’India dispone di una capacità di stoccaggio in batterie pari a 505 megawattora, una goccia nel mare dei suoi bisogni energetici. Da qui la corsa a nuovi investimenti, ma anche la preoccupazione per la dipendenza dalle materie prime cinesi, indispensabili per produrre batterie e tecnologie rinnovabili.

C’è poi il tema delle centrali a carbone. Molte sono giovani, meno di quindici anni, e smantellarle significherebbe bruciare enormi risorse economiche. Per questo diversi esperti parlano di una “decarbonizzazione del carbone”, cioè di un miglioramento dell’efficienza delle centrali esistenti, da affiancare all’espansione delle fonti rinnovabili.

Il governo di Narendra Modi insiste sul fatto che l’India sia in linea con i propri obiettivi: ridurre le emissioni del 45% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2070. Oggi il Paese è responsabile del 7% delle emissioni globali, molto meno di Cina e Stati Uniti, ma la sua domanda di energia è destinata a raddoppiare entro due anni. Una crescita che rende la sfida ancora più complessa: conciliare sviluppo economico e sostenibilità in una nazione che non può permettersi rallentamenti.

L’annuncio del 50% di capacità non fossile resta dunque un segnale forte, un messaggio al mondo e al tempo stesso alla popolazione indiana. Ma più che un punto d’arrivo, è un passaggio di tappa. Il vero banco di prova sarà riuscire a trasformare quei gigawatt installati in energia pulita concreta, capace di alimentare le città in espansione e le campagne in via di elettrificazione. Solo allora si potrà dire che la corsa verde dell’India non è solo un ambizioso titolo da prima pagina, ma una realtà destinata a cambiare il volto energetico del Paese.

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