21.05.2023
È stato fondamentale invertire il deflusso delle acque del grande Canale emiliano-romagnolo convogliandole verso il Po.
La grande pianura emiliano-romagnola ha sempre guardato al Grande Fiume, la cui portata regola la vita di tutte le comunità attraversate. E, in condizioni normali, pesca dal Po per garantire acqua da distribuire alle distese agricole coltivate e per i bisogni di migliaia di aziende. Lo fa attraverso un’opera di ingegneria idraulica, il Canale emiliano-romagnolo, il più lungo corso d’acqua artificiale italiano, che si allunga dal ferrarese fino a Rimini. La piena seguita alle piogge torrenziali lo ha gonfiato a dismisura e ora è in corso una operazione unica nel suo genere, che ha l’obiettivo di invertirne il flusso per dirottare le acque verso il Po permettendo che defluiscano verso il mare. C’è da difendere Ravenna da un’alluvione che ha provocato i tre quarti del totale degli sfollati: 27mila su 36mila (numero progressivamente in calo man mano che le condizioni permettano di rientrare in sicurezza, ndr). Un’autentica alchimia fatta di vasi comunicanti, apertura e chiusura di paratie che hanno evitato il peggio del peggio e ora manovrate all’abbisogna per spingere verso il nord-ovest della piana ravennate qualcosa come un milione e mezzo di metri cubi di acqua al giorno. Senza questa soluzione, e con le montagne di terra come argine artificiale, sarebbe stato assai difficile difendere la città patrimonio dell’umanità dell’Unesco, che conserva le vestigia paleocristiane, dell’Impero Romano d’Occidente, ostrogote e bizantine. Ravenna da salvare, con il 16 per cento del territorio urbano evacuato. Ravenna che è il secondo comune più esteso d’Italia e si ritrova con le campagne circostanti sommerse o semisommerse.
Emblematica la considerazione del primo cittadino ravennate, il quale ha ricordato come la città lotti con le esondazioni da migliaia di anni e che le opere idrauliche servite a proteggerla dalla totale inondazione siano state realizzate tra il 1200 e il 1700, seguite poi nel tempo dal cosiddetto cavo Napoleonico, la rete di bonifica e il citato Canale emiliano-romagnolo, a cui i tecnici hanno fatto invertire la marcia. Questa grande vasca allungata, che si estende per oltre cento chilometri, svolge la sua funzione di distributore delle acque, ma non possiede sbocchi verso il mare. Ora, in questa emergenza mai vista, se n’è creato uno verso il Po. Una soluzione d’ingegno, laddove servirebbero, su tutta la pianura, vasche di compensazione per evitare tracimazioni di corsi d’acqua e canali che, sotto la pressione della pioggia intensa e in quantità abnorme abbattutasi sul territorio, hanno trasformato le strade in fiumi impetuosi. Beninteso, quella verificatasi è di gran lunga la peggiore alluvione della storia della Romagna, a memoria d’uomo, con 7000 chilometri quadrati di aree allagate e 24 corsi d’acqua esondati. Molto peggio di quanto accadde nel maggio 1939. Una cosa è certa: il nostro territorio è stato modellato in base a un clima e a quadro meteorologico che sono profondamente cambiati. Urgono adattamenti strutturali per evitare che eventi di portata estrema abbiano conseguenze catastrofiche.