15.07.2024
Sembra che da noi si sia concentrata la storia che conta, trasformando il giardino d’Europa, il Paese dei mille campanili, la terra delle meraviglie paesaggistiche, in uno scrigno prezioso in cui serbare un patrimonio artistico, architettonico ed archeologico unico da offrire ad occhi curiosi e avidi di vita.
La fama ha sempre accompagnato l’Italia, tanto che la definizione di Bel Paese ha assunto una forma sartoriale: l’abito confezionatole addosso nella percezione collettiva è quello. Gli 8000 chilometri di costa annegati nel Mediterraneo lucente consentono pure di fare traversate, meglio voli pindarici, e gonfiare le vele dell’iperbole. Siamo impastati di questa figura retorica che diventa metafora di comportamento e modo di vivere.
Sembra che da noi si sia concentrata la storia che conta, trasformando il giardino d’Europa, il Paese dei mille campanili, la terra delle meraviglie paesaggistiche, in uno scrigno prezioso in cui serbare un patrimonio artistico, architettonico ed archeologico unico da offrire ad occhi curiosi e avidi di vita. Perché un Paese che per tre volte, nella storia, è stato cardine dell’Occidente, nell’Antichità, dal punto di vista politico e militare (Roma caput mundi), nel Medioevo, per espressione spirituale e religiosa, e nel Rinascimento, per propulsione artistica e culturale, probabilmente non ha eguali al mondo. Quasi tutti gli italiani sono convinti di avere le città più ricche di monumenti, il clima migliore, spiagge infinite e baie incantate, montagne ardite, colline arrotondate dal tempo e dal lavoro dell’uomo, che dall’oggettività geografica segnata da una varietà (morfologica, climatica, storica, insediativa, economica ecc.), irrintracciabile altrove, ha formato il corredo da cartolina che aveva attratto artisti ed intellettuali nel cosiddetto Grand Tour, viaggio di formazione e crescita, prima dell’avvento del turismo vorace e massificato.
Ma oggi, dopo un secolo e più di unificazione (omologazione compresa), la situazione è mutata dal punto di vista ambientale, con periferie degradate e centri urbani che si somigliano, il lunghissimo litorale soggetto a stravolgimenti, aree montane pericolanti, per una cementificazione rapace che ha insidiato anche le zone archeologiche (vedi, Agrigento), ed il contorno di spiagge asfaltate, discariche abusive, strade dissestate. Il territorio è un prodotto sociale e il paesaggio è sempre (per certi versi) artificiale: qualsiasi intervento non si può calibrare sulla sola gradevolezza estetica (ahimè). Eppure, questo dissesto, pare non aver intaccato l’opinione dei turisti attratti dai piccoli borghi storici o dalle città d’arte, legati come sono a monumenti, tradizioni, paesaggi e alle seduzioni (pure) della buona cucina.
Miracolosamente il patrimonio culturale (con i suoi 58 siti) riconosciuto dall’ UNESCO come bene dell’umanità, al di là dei numeri e delle statistiche, si conferma inesauribile, inestimabile. Secondo l’ultimo rapporto annuale “Io sono cultura” di Fondazione Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo culturale e creativo italiano dà lavoro a 1,5 milioni di persone che producono ricchezza per 88,6 miliardi di euro; dato oltremodo significativo tanto da rendere inaccettabile che tanta bellezza storica e culturale (capitale economico a seguire) venga trascurata, lasciata avvizzire da una politica miope, in preda alla frenesia di una retorica degli annunci, lontana da un sistema finalizzato a valorizzare le peculiarità del nostro territorio. Si naviga a vista (ah già, siamo un “popolo di santi poeti e…navigatori”) senza meta e approdo. Lo stesso “Dante, avrebbe esteso la sferzante invettiva del canto XXXIII dell’Inferno “Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove il sì suona’” a tutto lo Stivale, inglobando talento accumulato e talento dissipato, nell’evocazione delle atmosfere legate alla Bellezza da preservare. L’Italia, come la Divina Commedia, è regno dell’allegoria dagli infiniti significati diversi da quelli letterali. Bel Paese, sì grazie! Anche per noi. Iperbole autocelebrativa a parte.