In Italia c’è un pezzo di industria che cresce più veloce degli altri, genera reddito, crea lavoro qualificato e spinge la transizione energetica. È il mondo delle cleantech, l’insieme delle tecnologie che permettono di produrre energia pulita, ridurre sprechi, riciclare materiali, migliorare l’efficienza delle case e delle fabbriche. Un settore che oggi vale 57 miliardi di euro di mercato e che potrebbe salire a 87 miliardi entro il 2030, se il Paese smettesse di inciampare in burocrazia e incertezze regolatorie.
A raccontare questa trasformazione è il nuovo report “L’Italia delle Cleantech: investimenti, occupazione, lavoro” dell’Energy&Strategy del Politecnico di Milano, che fotografa un comparto ormai decisivo per competitività e sicurezza energetica del Paese.
Un mercato già maturo
Le imprese italiane della filiera – dai produttori di componenti ai manutentori degli impianti – generano oggi 25 miliardi di euro di valore aggiunto, metà diretto e metà nell’indotto. La parte più robusta arriva dall’ampio universo dell’efficienza energetica e dell’economia circolare, che da solo vale oltre 42 miliardi di mercato. In questo aggregato troviamo alcuni capisaldi dell’industria italiana: pompe di calore, interventi di efficientamento nelle abitazioni e nelle imprese, tecnologie per ridurre consumi e scarti. Segmenti che producono 37,5 miliardi di ricavi e oltre 9 miliardi di valore aggiunto diretto, mentre l’indotto sfiora gli 11,3 miliardi.
Il secondo grande fronte è quello delle rinnovabili e dei vettori energetici puliti: un mercato da 10 miliardi, capace di generare 7,1 miliardi di ricavi e di sostenere un indotto da più di 6 miliardi. Qui il fotovoltaico e l’eolico continuano a fare la parte del leone, ma emergono anche nuovi protagonisti: biometano ed elettrolizzatori per l’idrogeno verde, settori che potrebbero rivelarsi fondamentali già nei prossimi anni.
Completa il quadro il comparto delle infrastrutture: reti, accumuli e colonnine di ricarica. Un settore da 4,5 miliardi, indispensabile per evitare che la transizione elettrica si fermi per mancanza di capacità di rete o di punti di ricarica.
Mancano gli specializzati
Le cleantech non stanno solo trasformando l’economia: stanno riscrivendo il mercato del lavoro. Oggi impiegano 130 mila addetti diretti, destinati – secondo le proiezioni del Politecnico – a diventare 173 mila entro il 2030 (+33% in 5 anni). Il freno principale a questa espansione è la carenza di personale qualificato. Le aziende faticano a trovare le figure di cui hanno bisogno. Ingegneri elettrici ed elettronici, installatori, manutentori qualificati, tecnici industriali: per molte di queste professioni il tasso di irreperibilità supera il 70%. La domanda c’è, è robusta e in crescita, ma l’offerta di competenze non riesce a starle dietro.
Inoltre le tecnologie pulite non sono più limitate al campo dell’ingegneria: oggi integrano digitale, materiali avanzati e strumenti predittivi. Le imprese chiedono competenze su IoT, cybersecurity, digital twin, modelli basati su IA, analisi Esg e valutazioni Lca.
È una trasformazione che apre enormi spazi per i giovani, ma anche per chi lavora già nel settore e ha bisogno di aggiornarsi: il reskilling è una delle chiavi per evitare che la transizione rallenti per mancanza di personale qualificato.
Cresce chi ha una direzione chiara
Lo studio mette in luce un punto decisivo: dove la normativa è stabile e gli iter autorizzativi funzionano, le filiere italiane crescono e mantengono una posizione di leadership. Nei comparti più maturi – efficienza e rinnovabili – il valore aggiunto prodotto in Italia rappresenta già il 20% del mercato complessivo. Per le infrastrutture di rete e ricarica la quota sale al 30%. Ma senza condizioni abilitanti – norme chiare, procedure veloci, sostegno agli investimenti strategici – il rischio è perdere terreno proprio nel momento in cui la transizione climatica sta diventando il nuovo asse industriale del mondo.
L’Italia delle cleantech è un comparto industriale ad alta marginalità, con catene del valore diffuse sul territorio e una forte vocazione all’innovazione. Se il Paese saprà cogliere questo potenziale, al 2030 potremmo trovarci con un settore capace di generare 33 miliardi di valore aggiunto, con migliaia di nuove imprese e decine di migliaia di posti di lavoro altamente qualificati. In caso contrario, resteremo spettatori mentre altri costruiranno le tecnologie che useremo per decenni.
