Dopo tre anni di trattative, ritardi, negoziati serrati e tensioni geopolitiche, è arrivata la fumata bianca: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato il primo accordo globale per prevenire, prepararsi e rispondere alle future pandemie. Un documento nato sull’onda lunga delle ferite lasciate dal Covid-19, che ha messo a nudo le debolezze strutturali della governance sanitaria mondiale.
L’accordo, votato con 124 sì e 11 astensioni, punta a non ripetere gli errori del passato: disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini, mancanza di trasparenza sui dati, nazionalismi sanitari e ritardi nelle risposte. In sostanza, si cerca di dare forma a quella politica globale che durante la pandemia è mancata – una politica capace di mettere in rete le risorse, condividere le conoscenze e garantire che nessuno venga lasciato indietro.
Italia tra gli astenuti
Fa discutere il voto dell’Italia, che ha deciso di astenersi insieme a Paesi come Russia, Iran, Israele, Slovacchia e Polonia. Anche gli Stati Uniti, che hanno avviato il processo di ritiro formale dall’Oms, sono fuori dall’intesa, attaccata dal segretario alla Salute degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr.
Roma ha motivato la scelta con la necessità di “riaffermare la sovranità nazionale in materia di salute pubblica”, ma la decisione ha suscitato perplessità. L’infettivologo Matteo Bassetti, tra gli altri, ha criticato l’allineamento con Stati notoriamente poco trasparenti in campo sanitario, sottolineando che “la cooperazione internazionale non può essere opzionale quando si parla di salute globale”.
Le novità dell’accordo
Il testo approvato – 35 articoli che costituiranno un trattato vincolante – introduce diverse innovazioni che potrebbero cambiare il modo in cui il mondo affronta le emergenze sanitarie:
- Sistema PABS (Pathogen Access and Benefit Sharing): obbligo di condividere rapidamente agenti patogeni e sequenze genetiche, in cambio di una distribuzione equa dei benefici, come vaccini e farmaci. Un meccanismo pensato per evitare la corsa al brevetto e garantire accesso ai Paesi più fragili.
- Rete Globale di Logistica e Sviluppo (GSCL): un sistema per coordinare la distribuzione di forniture mediche essenziali, evitando colli di bottiglia e monopoli come quelli osservati nel 2020.
- Principio “One Health”: riconosce che la salute umana è intrecciata con quella animale e ambientale. Un cambio di paradigma che spinge a considerare le cause profonde delle zoonosi, come la deforestazione e gli allevamenti intensivi.
- Condizionalità degli investimenti pubblici: le risorse pubbliche destinate alla ricerca biomedica dovranno produrre tecnologie accessibili e condivisibili. In altre parole: se i soldi sono pubblici, anche i risultati devono esserlo.
I punti deboli
L’accordo, sebbene importante, non è privo di lacune. Prima fra tutte, l’assenza di meccanismi sanzionatori: gli Stati sono vincolati sul piano formale, ma non esistono strumenti coercitivi in caso di inadempienze. Inoltre, molti aspetti cruciali – come le modalità operative del sistema PABS – sono rimandati a future negoziazioni, probabilmente nel 2026.
Infine, l’astensione di undici Paesi, alcuni dei quali strategici per la salute globale, solleva dubbi sulla reale efficacia di un accordo che – per funzionare davvero – ha bisogno della partecipazione piena e convinta di tutti.
Un’occasione da non sprecare
L’approvazione del trattato rappresenta comunque un passo avanti. Dopo il trauma globale del Covid-19, era impensabile tornare al “si salvi chi può” che ha caratterizzato i primi mesi della pandemia. Il mondo ha bisogno di regole chiare, strumenti condivisi e, soprattutto, di una visione comune. Una politica sanitaria che superi i confini nazionali e riconosca che un virus può diventare globale in poche ore, mentre la solidarietà spesso si perde per strada.
Non è un trattato perfetto, ma è un punto di partenza. Ora tocca ai governi dimostrare che, di fronte alla prossima crisi, saranno capaci di anteporre il bene collettivo agli interessi di bottega. La salute pubblica non può più essere lasciata in balia dei giochi geopolitici. O si agisce insieme, o si fallisce da soli.