2 Aprile 2025
/ 28.03.2025

L’orto della tortura: “Così le piante resistono alla siccità estrema”

I ricercatori privano gli alberi di umidità e li annaffiano con acqua salata anticipando lo stress climatico in arrivo

Il futuro dell’alimentazione dell’umanità si annuncia complicato, visto che già siamo otto miliardi, e che non conosciamo tutti i dettagli delle conseguenze della crisi climatica sulle produzioni agricole che sfamano il Pianeta. Naturalmente la cosa migliore da fare sarebbe per definizione quella di bloccare il riscaldamento globale (nei limiti del possibile); ma già sappiamo che le parole chiave saranno due, cioè mitigazione e adattamento. Ovvero cercare di ridurre le emissioni serra e limitare le conseguenze avverse del riscaldamento già in atto.

In vari luoghi del mondo esperti e scienziati stanno studiandole e sperimentandole. E uno dei più interessanti è il cosiddetto “Orto della Tortura”, nel Wolfskill Experimental Orchard in California, a metà strada tra San Francisco e Sacramento. Qui i ricercatori dell’Università di California Davis testano la resistenza al caldo e alla siccità di vari tipi di piante ed alberi di uso corrente, dalla frutta alle noci ai pistacchi, per capire quali resistono e resisteranno ai “maltrattamenti” climatici, e quali invece ci rimarranno (letteralmente) secchi.

Non è un caso che il frutteto sperimentale sia in un posto come la California, fiaccata da qualche anno da una siccità che ogni estate mette in ginocchio gli agricoltori, prosciugando le riserve idriche e facendo morire le coltivazioni di migliaia di aziende agricole. E così gli scienziati, in questi circa 35 ettari di coltivazioni, hanno deciso di piantare campioni di piante rare, provenienti da Paesi come Iran e Afghanistan, dove sono già abituate a sopravvivere con poca acqua se non in terreni salati. Altri creano innesti fra piante diverse, sfruttando le caratteristiche di quelle più resilienti alle alte temperature e ai climi secchi. Altri ancora stanno analizzando le piante che non sono sopravvissute alla siccità, per capire le cause della loro morte. Infine, un gruppo di ricerca conduce dei test sulle piante esistenti in questo orto speciale, il Torture Orchard, privando gli alberi dell’umidità o bagnandoli espressamente con acqua salata. Per poi vedere che succede.

Facile immaginare che succede se si annaffia una pianta con acqua salata: prima si secca e poi muore. Sembra una cattiveria – appunto, una tortura – senza senso. Ma qui l’obiettivo finale è quello di insegnare alle piante a produrre lo stesso quantitativo di frutti, fornendo loro meno acqua, spiegano i ricercatori. Bisogna che imparino a trovare il giusto equilibrio. “Insegnare” alle piante a sopravvivere con meno acqua, ad adattarsi a terreni più aridi (e spesso anche più salati) è un lavoro lungo e faticoso.

I tre studiosi che guidano il team – Kenneth Shackel, Thomas Gradziel e Pat Brown – hanno irrigato a goccia piante di pistacchio con acqua salmastra, senza mai innaffiare con acqua dolce per ben quattro mesi, eccezion fatta per una pioggia minima. Dopo questo trattamento avevano un bruttissimo aspetto, ma sono sopravvissute, anche se i frutti sono cresciuti molto meno di quelli “commerciali”. In un altro caso sono stati sperimentati speciali sensori per monitorare l’umidità del suolo e rilevare i livelli di umidità interni della pianta in tempo reale, il che permette di capire sempre meglio il fabbisogno di acqua di piante come mandorli e noci.

Le tipologie di piante su cui vengono effettuati gli esperimenti sono una ventina: pistacchi, mandorle, nocciole, melagrane, noci e così via. Il problema – o meglio uno dei problemi – è che l’acqua salata che ha colpito ma non ucciso i pistacchi si è rivelata letale per i noccioli. Detto questo, molte piante progettate in laboratorio per resistere alla siccità non saranno disponibili prima dei prossimi vent’anni.

Anche in Italia vengono condotti studi analoghi, anche se con metodi meno radicali. Ad esempio in Piemonte c’è la Fondazione Agrion, che si dedica da oltre quindici anni allo sviluppo di strategie di irrigazione innovative, con interventi che riguardano in particolare il settore frutticolo e si stanno rivolgendo anche a quello vitivinicolo. Si studiano soluzioni per accumulare l’acqua in microinvasi senza intaccare le falde, ma anche per non disperdere quella già incamerata nel suolo. E come in California – ma senza “torture” – si studia e si comprende il comportamento fisiologico della pianta rispetto alle irrigazioni, che in questo modo possono essere più mirate e precise.

Un’ulteriore tecnica che ha permesso ad Agrion un’ottimizzazione dei consumi di acqua pari addirittura al 60% è la microirrigazione, di cui sono stati dotati tutti i nuovi impianti ortofrutticoli della Fondazione. Progetti più recenti includono i Dss, algoritmi che indicano quando irrigare sulla base dei dati raccolti da sensori, e i Dms, che consentono agli agricoltori di gestire gli impianti da remoto tramite app. Queste tecnologie riducono i consumi idrici fino al 30%, migliorando al contempo la produttività.

Ma anche in Basilicata. Il progetto Tras.Irri.Ma promuove sistemi di irrigazione smart e sostenibile, con risorse della Regione e la collaborazione di Enea, Cnr, Crea e Università della Basilicata. In un pescheto sperimentale del Metapontino, il consumo d’acqua è stato ridotto senza compromettere la resa, grazie a bilanci idrici precisi e monitoraggi costanti. E per la coltivazione di kiwi i ricercatori hanno messo a punto strategie che evitano stress idrici durante i mesi estivi, critici per le elevate temperature.

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