20 Novembre 2025
/ 20.11.2025

Martina Rogato (Hric): “A Belém è battaglia anche per i diritti”

Mentre i riflettori sono puntati sulla finanza, a Belém si combatte una guerra parallela su diritti e genere. Ne abbiamo parlato con Martina Rogato (Human Rights International Corner), che denuncia: "C’è molto 'indigenous washing', ma la società civile sta ottenendo le prime risposte"

Martina, sei a Belém per monitorare i negoziati con la lente dei diritti umani, rappresenti Human Rights International Corner e Women7 Italia. La narrazione ufficiale ha dipinto questa Cop30 come l’evento della svolta per i popoli originari, la “Cop dell’Amazzonia”. È quello che stai vedendo sul campo?

“La verità è che ci sono contraddizioni stridenti. È stata venduta come la Cop indigena all’interno dell’Amazzonia, ma sono state appena concesse dal Brasile nuove concessioni per trivellare nell’Amazzonia stessa. C’è molto indigenous washing: la presenza indigena è pubblicizzata in città, ma spesso restano fuori dai tavoli decisionali. Non è solo una questione simbolica, ma di accesso democratico: nonostante a Belém siano arrivati oltre 500 esperti indigeni, solo una parte ha ottenuto il pass per accedere alla Zona Blu, l’area dove avvengono i negoziati veri e propri”.

Eppure la mobilitazione fuori dai palazzi è stata imponente. La pressione della piazza è riuscita a scalfire questo muro di esclusione?

“Qualcosa si muove. Dopo la marcia di decine di migliaia persone organizzata dalla CúpuladosPovos, il contro-vertice della società civile, le istituzioni hanno dovuto rispondere. La ministra dell’Ambiente Marina Silva e il presidente della Cop hanno incontrato ufficialmente i leader della protesta per ricevere le loro raccomandazioni. Anche figure storiche come il Capo Raoni hanno avuto colloqui diretti con i negoziatori chiave, inclusi quelli dell’Unione Europea”.

Spostiamoci su un altro fronte caldo e poco raccontato: i diritti di genere. Si sta discutendo il rinnovo del Gender Action Plan, ma sembra che lo scontro tra Paesi conservatori e progressisti sia totale.

“Assolutamente. Il diavolo sta nei dettagli di linguaggio. La disputa verte su singole parole che cambiano la sostanza delle tutele. Si discute ad esempio sui dati disaggregati: i Paesi conservatori spingono per un’ottica binaria, raccogliendo dati solo per sesso biologico (uomo/donna), mentre la società civile e i blocchi progressisti chiedono di includere l’identità di genere e l’orientamento sesso-affettivo. La nostra richiesta come Constituency è chiara: non vogliamo essere solo una voce da menzionare nel testo, ma esigiamo un approccio intersezionale che permei ogni soluzione climatica, dall’adattamento alla transizione”.

Per concludere, si parla con insistenza di una divisione del testo finale in due parti per evitare il fallimento del negoziato. Cosa ci puoi dire a riguardo?

“Confermo che il presidente della Cop ha proposto questa soluzione negoziale per uscire dall’impasse: dividere il testo in due pacchetti. Un primo pacchetto per le questioni su cui c’è accordo unanime e un “pacchetto B”, un contenitore per i punti controversi dove rischiano di finire proprio le questioni di genere. Ma siamo abituati ai colpi di scena, tutto si decide all’ultimo momento. Noi continueremo a fare lobbying per assicurare che i diritti non finiscano nel dimenticatoio”.

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