11 Settembre 2025
/ 11.09.2025

“Metà dei suoli agricoli è degradata: è ora di passare all’agricoltura rigenerativa”

Intervista a Francesco Marangon, l’economista agrario che parteciperà all’incontro sull’economia rigenerativa al Salone della CSR e dell’innovazione sociale, il 10 ottobre a Milano

Conosciamo il problema creato dall’agricoltura e conosciamo la soluzione. Ma i danni riusciamo a quantificarli con una certa esattezza, i benefici in modo approssimativo. In sintesi questo è il nodo che rallenta la riconversione ecologica dei campi. Se ne parlerà al Salone della CSR e dell’innovazione sociale (Milano, Università Bocconi) venerdì 10 ottobre, all’incontro su “Agricoltura rigenerativa: innovazione e tradizione” a cui parteciperà Francesco Marangon, economista agrario con una cattedra all’università di Udine.

Possibile che non ci sia una stima complessiva del vantaggio economico che verrebbe dal passaggio da un’agricoltura intensiva ad alto uso di chimica di sintesi a un’agricoltura rigenerativa? “Lo so, sembra strano ma è così: piacerebbe anche a me avere questa valutazione, però non esiste”, risponde Marangon.

La stima dei danni

E allora facciamo un passo indietro e proviamo a dipanare la matassa dall’inizio invece di arrivare subito alla conclusione. Partiamo dalla stima dei danni che Marangon ricorda: il 52% dei suoli agricoli degradato; l’erosione che interessa oltre 12 milioni di ettari di aree agricole a livello europeo; il carbonio organico che a livello globale ha subito negli ultimi due secoli una perdita dell’8% a testimonianza dell’impoverimento del suolo. Tutto ciò costituisce un danno ambientale evidente. Ma in modo altrettanto evidente rappresenta anche un danno economico. Perché questo danno non viene rappresentato da una cifra complessiva?

“Perché questa sintesi è difficile”, continua Marangon. “Siamo indiscutibilmente di fronte a una perdita del capitale naturale. La ricchezza e la fertilità del suolo si riducono, ma il processo comporta rivoli di perdite e si fatica ad avere una stima complessiva”.

Perdere la fertilità del suolo vuol dire perdere biodiversità. Ma anche avere una minore capacità di fornire cibo. Ridurre l’assorbimento delle piogge che la crisi climatica rende sempre più violente e quindi aumentare il rischio idrogeologico. Diminuire il carbonio contenuto nel suolo e dunque far crescere quello che si concentra in atmosfera rendendo ancora più violente le piogge. E così via: dal degrado del paesaggio a quello della qualità alimentare i danni creati da decenni di agricoltura ad alto impatto ambientale sono pesanti. Ma non riuscire a contarli con precisione non indebolisce la richiesta di cambiamento?

Qualche progresso c’è

“Sì la indebolisce. Eppure non dobbiamo dimenticarci dei progressi che abbiamo fatto negli ultimi decenni”, replica Marangon. “Faccio questo mestiere da 35 anni e posso testimoniare che la sensibilità su questo tema è cambiata. Collegare l’agricoltura all’ambiente 35 anni fa era un obiettivo ambizioso, oggi la bioeconomia è un tema attorno a cui ruotano investimenti importanti. Il biologico ha guadagnato spazio. È nata l’European Alliance for Regenerative Agriculture. Certo definire con precisione cos’è l’agricoltura rigenerativa è difficile perché non ci sono regolamenti precisi sulle norme da seguire e sui materiali da utilizzare, come invece avviene nel caso del biologico. Ma il concetto di fondo è chiaro: l’approccio rigenerativo mette in risalto la multifunzionalità dell’agricoltura. La sua capacità di produrre esternalità positive. Intesa in questo modo l’agricoltura non serve solo a limitare gli impatti negativi ma è un’attività che può creare valore, al di là del cibo prodotto. E infatti l’Ispra ha cominciato a valutare i danni che derivano dal consumo di suolo”.

La mancanza di una sintesi

Resta comunque la mancanza di una sintesi efficace e questo ha naturalmente un risvolto politico. Se per dimostrare che l’agricoltura rigenerativa conviene bisogna leggere un saggio invece di guardare un numero diventa più difficile contrastare l’ondata negazionista che, partendo dal clima, prova a cancellare la conoscenza degli effetti dei danni ambientali.

“Per questo è sulla Pac, la politica agricola europea, che bisogna agire: spero che alla prossima tornata di impegni economici dell’Unione Europea per l’agricoltura i fondi siano meglio mirati al rilancio dell’agricoltura rigenerativa”, conclude Marangon. “Perché a un agricoltore che fatica a chiudere un bilancio non si può chiedere uno sforzo ambientale in più a vantaggio della comunità senza pagarglielo. Public money for public good: denaro pubblico a compensare un beneficio pubblico. E il beneficio pubblico che può portare un’agricoltura sana è fondamentale. Se dovessimo calcolare solo il valore economico, l’agricoltura peserebbe poco: il settore vale l’1,5% dell’occupazione e il 2% del Pil. Ma in questi conti i benefici sociali non ci sono: se si inseriscono cambia tutto”.

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