A Milano, il Natale ha preso il via con un’ondata umana che ha riempito Piazza Duomo come raramente si era visto negli ultimi anni. L’accensione del grande abete olimpico — 29 metri di altezza, migliaia di micro-led e un vestito ispirato all’immaginario di Milano-Cortina 2026 — ha trasformato il centro della città in un unico grande set luminoso, dove entusiasmo e caos si sono mescolati. Una scena che racconta bene il rapporto tra Milano e il Natale: un rito collettivo capace di affascinare e travolgere.
Il Duomo come calamita
L’albero installato davanti alla cattedrale, arrivato dai boschi trentini di Dimaro Folgarida, non è stato solo un’installazione scenografica: è diventato un magnete. La sua accensione ha attirato una marea di persone che ha improvvisamente saturato le strade laterali, complici anche il maxi-schermo per la Prima della Scala e il nuovo megastore dedicato ai Giochi invernali.
Milano, per una sera, è sembrata esplodere. E la pressione della folla ha spinto il sindaco a frenare con decisione sulla possibilità — richiesta da alcuni esponenti politici — di organizzare in quella stessa piazza un grande concerto di fine anno. La scena di sabato è stata più che eloquente: un evento musicale lì dentro sarebbe ingestibile.
Il Natale milanese, insomma, non si limita a creare atmosfera: modifica tempi, spazi, abitudini. E non sempre in modo prevedibile.
Una festa con varie anime
Il villaggio tematico accanto all’albero, alimentato interamente da energia rinnovabile e dedicato ai valori olimpici, completa un paesaggio che alterna tecnologia, simboli e narrazione sportiva. A pochi passi, nella Galleria Vittorio Emanuele II, l’albero digitale installato quest’anno diventa un altro polo d’attrazione, confermando come il Natale a Milano si muova su più registri: tradizione, innovazione, inclusione.
Eppure la vera novità non sono le luci, ma ciò che provocano. Il fenomeno della folla che si riversa nelle piazze non riguarda solo Milano: Firenze, Bari, Gubbio e altre città italiane hanno vissuto nelle stesse ore lo stesso “effetto richiamo”. Ovunque migliaia di persone hanno sfidato il freddo e alle volte la pioggia pur di assistere all’accensione del proprio albero.
Milano non fa eccezione. Interpreta questa esigenza a modo suo: con la frenesia che la contraddistingue e, allo stesso tempo, con una sorprendente voglia di rallentare davanti a un rituale semplice.
Oltre il centro: la città diffusa delle luminarie
L’illuminazione non si concentra solo in Duomo. Quest’anno il Comune ha voluto estendere il palinsesto natalizio a oltre trenta punti della città. Dai quartieri centrali fino alle periferie, ogni installazione diventa un frammento di un’unica narrazione luminosa.
C’è chi punta sulla sostenibilità, chi sulla tradizione, chi sulla creatività sociale. Un mosaico che ridisegna la mappa emotiva della città e che prova a ricucire, almeno durante le feste, la distanza tra centro e quartieri.
L’intenzione politica è evidente: usare il Natale come occasione di coesione, una parentesi luminosa che restituisca ai cittadini la sensazione — per quanto effimera — di una città più unita e meno frammentata.
L’affollamento di queste giornate racconta un fenomeno ormai riconosciuto anche dagli studiosi: il cosiddetto “effetto Natale”, quel misto di nostalgia, sicurezza e desiderio di leggerezza che si riaccende davanti a un albero addobbato. A Milano questo sentimento emerge con ancora più forza, in una città che vive spesso a ritmi esasperati e che, forse proprio per questo, cerca momenti di sospensione collettiva.
