13 Maggio 2024
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Società

Mondo di comunicazione, ma solitudine senza fine, il Nonluogo di Marc Augé

30.07.2023

René Magritte, Les amants, 1928

Attraverso l’attività di Africanista (regno di contraddizioni), Marc Augé intuì il senso dei Nonluoghi, sottolineando il passaggio da una società di massa ad una di potenti, consumatori e comunicatori esclusi.

Ci sono pensatori e pensatori. Marc Augé apparteneva alla ristretta cerchia di chi, partendo da un’attenta analisi della realtà nella quale noi tutti siamo coinvolti, aveva centrato un aspetto troppo spesso relegato in un cantuccio. Parlare della contemporaneità, allorquando fu mandato alle stampe il suo Nonlieux, Non Luoghi nel 1992, parve subito il classico sasso lanciato nelle acque stagnanti dell’ovvietà. Sì, certo, ma con una peculiarità distintiva.

Con la sua arguzia di etnologo ed antropologo di raffinata formazione, si era prefissato il compito di seguire gli itinerari di un presente sempre più appiattito sulla ripetizione di comportamenti legati a reiterazione e duplicabilità indotta da una globalizzazione: da economica si stava trasformando in modello di vita. Dal doppio piano di un passato quale serbatoio di esperienze dal cui attingere, ed un futuro come sacco da riempire di istanze, sogni, progetti, individuali e collettivi; l’avvento dirompente della dimensione mediatica, con tutto il corredo di (non)regole, era riuscito in tempi sempre più vampirizzati dalla fretta (e da una presunta crescita), ad irreggimentare l’orbe terracqueo in una forma di novella colonizzazione legata al consumo, e ad una forma liquida (alla Bauman) più che alla ricerca di mete da raggiungere.

Passato e futuro, incollati su un presente vischioso, dunque. Con quel coupe de theatre (il nostro era nativo della francesissima Poitiers), di una teorizzazione della Surmodernità incastonata nella società contemporanea metropolitana, indagata antropologicamente, sino alla evidenziazione di una solitudine montante e pervasiva, sempre sul ciglio del baratro e potenzialmente soggetta a precipitare giù in fondo per immergersi nelle acque melmose di una solitudine senza fine. Un vero e proprio paradosso, secondo Augé, se rapportato al progresso dei mezzi di comunicazione e delle relazioni interpersonali, ma condizionato dalla frequentazione dei cosiddetti Nonluoghi, spazi fagocitati dall’anonimato, infarciti di stereotipi, immiseriti dall’assenza di storicità, e spazio di transito ininterrotto di un’umanità sempre freneticamente alla ricerca di una velocizzazione di passi e moduli comportamentali, spinta alla ciclicità di atteggiamenti non bisognevoli di alcun apporto di relazione.

Ed è singolare leggere di questi spazi abitati da un tempo ridotto all’anonimato, in ossequio al consumo di merci per realizzare una sorta di utilità di servizio temporanea, e quindi (secondo la sua tesi) svuotati di significato (o significazione).

Spazi utilizzati, più che vissuti, nel senso antropologico del termine. Ecco, allora scattare la tenaglia prensile della Surmodernità, col suo apparato debordante di avvenimenti, la sua dilatazione spaziale, il ribaltamento del rapporto “io-gli altri”, un’individualizzazione dei riferimenti, con la consequenziale accelerazione della Storia, dominata da una rapidità capace non solo di annullare le distanze, ma di far prevalere il concetto di tempo su quello dello spazio. Così, i grandi centri commerciali, gli aeroporti, le autostrade, le metropolitane e i bistrot, luoghi di transito e non di passaggio di relazione tra individuo e spazio, né tra spazio e territorio, hanno finito per contrassegnare luoghi dove ci si sente “Straniero a me stesso” (2011). Marc, adieu! “Un etnologo nel metrò” (2005), è arrivato a fine corsa.

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