01.08.2023
Ricordate quando temevamo che il conflitto in Ucraina si espandesse, assomigliando a qualcosa che avevamo paura di chiamare Terza guerra mondiale? Ci risiamo, perché il Niger è una specie di bomba a orologeria, in un mondo che si divide. Ci sono tutti gli elementi di ogni crisi africana: un golpe militare, le ricchezze del sottosuolo, le eredità del colonialismo e quello che un tempo avremmo chiamato sottosviluppo. Apparentemente, anche la marginalità che ci lascia guardare distratti a un Paese lontano dal mare, un box nel deserto dove il fiume Niger non basta a fare del Paese un’oasi.
Ma il Niger è importante per molti motivi. È il canale di transito delle migrazioni. È un Paese dove quel che resta del terrorismo jihadista si rifugia. Fornisce alla Francia un terzo dell’uranio che Parigi consuma. È il puntello filoccidentale nel cuore della fascia subsahariana.
Le notizie di inizio agosto sono un bollettino di guerra: la Francia – più che un soccorso, sembra una minaccia – organizza l’evacuazione dei suoi cittadini, imitata dall’Italia. L’ECOWAS – Organizzazione degli Stati dell’Africa Occidentale – pone un ultimatum per riportare al suo posto il Presidente rimosso. Ma il Mali e il Burkina Faso dichiarano che un attacco al Niger sarebbe un attacco a loro stessi. I vertici militari algerini, in visita a Mosca, si oppongono a ogni interferenza (e l’Algeria è il nostro rubinetto del gas). Russia e Cina – tra Wagner e investimenti, sono i nuovi compagni di strada di tanti Paesi africani – tengono un profilo basso, per non inimicarsi nessuno. Ma i manifestanti che hanno assediato l’ambasciata francese a Niamey sventolavano bandiere russe.
Con chi stai, sembra un appello rivolto a ogni Paese di un mondo diviso come ai tempi della guerra fredda. Ma adesso le guerre sembrano scongelarsi.