9 Maggio 2025
/ 9.05.2025

Oceani sempre più deserti: raddoppiano le aree povere di vita marina

L’allarme degli scienziati sulla salute degli oceani: la clorofilla sta diminuendo a causa della crisi clmatica

In poco più di vent’anni, le regioni oceaniche più povere di nutrienti e biodiversità sono quasi raddoppiate, passando dal 2,4 al 4,5% della superficie globale. A lanciare l’allarme è uno studio internazionale condotto dal Laboratorio Enea Modelli e Servizi Climatici, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine (Ismar-Cnr) e il laboratorio cinese Soed, recentemente pubblicato su Geophysical Research Letters. Il fenomeno, definito “desertificazione oceanica”, comporta una crescente carenza di nutrienti essenziali, con possibili impatti devastanti sulla salute degli oceani e sull’equilibrio climatico del pianeta.

Il ruolo cruciale del fitoplancton

Al centro dell’analisi c’è il fitoplancton, l’insieme di microrganismi marini che costituisce il primo anello della catena alimentare oceanica. Questi organismi, oltre a nutrire zooplancton e pesci, giocano un ruolo decisivo nel mitigare i cambiamenti climatici, grazie alla loro capacità di assorbire anidride carbonica attraverso la fotosintesi. Quando i nutrienti scarseggiano, però, anche il fitoplancton soffre, con effetti a cascata su tutta la rete trofica marina.

Uno degli indicatori più utilizzati per valutare lo stato di salute del fitoplancton è la presenza di clorofilla, il pigmento verde che consente la fotosintesi. E proprio la clorofilla sta diminuendo, come confermano i dati satellitari analizzati tra il 1998 e il 2022 nei cinque grandi vortici subtropicali (gyres) dell’Atlantico, del Pacifico e dell’Oceano Indiano.

Il riscaldamento globale come motore del cambiamento

La causa principale di questa desertificazione è il riscaldamento globale. Le acque superficiali, sempre più calde e leggere, tendono a stratificarsi, impedendo il rimescolamento con quelle più profonde e ricche di nutrienti. Questo fenomeno ostacola l’apporto di “cibo” al fitoplancton e riduce la produttività degli ecosistemi marini.

L’effetto è particolarmente evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale, dove ogni anno si aggiungono ben 70.000 chilometri quadrati di superficie desertificata. Ma anche le aree tropicali e subtropicali stanno diventando sempre più vulnerabili, con ripercussioni potenzialmente drammatiche sulla biodiversità marina e sull’economia della pesca.

Meno clorofilla, ma il fitoplancton resiste

Nonostante la diminuzione della clorofilla, lo studio mostra che la biomassa del fitoplancton è rimasta relativamente stabile. Secondo la ricercatrice Enea Chiara Volta, questo potrebbe indicare una capacità di adattamento degli organismi alle nuove condizioni ambientali, come l’aumento delle temperature e la scarsità di nutrienti. In altre parole, il fitoplancton non sta scomparendo, ma sta cambiando.

Tuttavia, i dati satellitari mostrano solo ciò che accade sulla superficie oceanica. Per capire davvero l’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini, sarà necessario studiare anche cosa succede in profondità, lungo tutta la colonna d’acqua. È lì che si nasconde gran parte del futuro della vita negli oceani.

Un campanello d’allarme per il clima globale

La desertificazione degli oceani è un segnale d’allarme che riguarda tutti. Se la produttività del fitoplancton dovesse diminuire significativamente, ne risentirebbe non solo la catena alimentare marina, ma anche la capacità degli oceani di assorbire CO₂, con conseguenze sul riscaldamento globale.

Gli oceani, che oggi assorbono circa un quarto dell’anidride carbonica emessa dalle attività umane, rischiano di perdere parte di questa funzione essenziale. Per questo, comprendere e monitorare questi cambiamenti è fondamentale, non solo per la scienza, ma per il futuro del nostro pianeta.

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