21 Ottobre 2024
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Ambiente, Cronaca, Sostenibilità

Padroni dell’inquinamento

01.06.2024

Dal 2026 “passaporto digitale” ai prodotti tessili per contenere le informazioni sulla loro sostenibilità e rendere più consapevoli gli acquirenti. L’Europa produce oltre 12 milioni di tonnellate di rifiuti tessili l’anno, con il solo 22% raccolto per il riciclo. Il nuovo regolamento UE. L’Italia si astiene.

Di fronte alla crisi climatica, l’Italia e l’Europa hanno la necessità di svincolarsi dall’ormai obsoleto modello prendi-produci-smaltisci. E per farlo gli Stati membri, a eccezione dell’Italia che si è astenuta, hanno dato il via nei giorni scorsi all’accordo sul divieto di distruzione di tessuti e calzature invenduti.

Il nuovo regolamento, che dovrebbe entrare in vigore dal 2026, va ad ampliare quella che era la direttiva sulla progettazione ecocompatibile del 2009, che si riferiva i soli prodotti energetici, includendo le categorie ad alto impatto, come il tessile, i mobili, ma anche ferro, acciaio, pneumatici, lubrificanti, prodotti chimici e via dicendo. In generale, l’obiettivo è quello di inquinare meno, stabilendo nuovi requisiti di progettazione e aumentare affidabilità, riutilizzo ma anche riparazione e riciclo dei prodotti. Insomma, un nuovo forma mentis produttivo che guardi al riciclo come obiettivo finale e non allo smaltimento in discarica. Inoltre, per la prima volta, è previsto un “passaporto digitale” dei prodotti, che dovrebbe contenere le informazioni sulla sostenibilità del prodotto: un modo, questo, per rendere più consapevoli gli acquirenti e, perché no, divulgare informazioni a riguardo. Come visto, un aspetto particolarmente rilevante riguarda il divieto di distruzione di tessuti e calzature invenduti e, per percepirne l’importanza, basti considerare che l’Europa produce oltre 12 milioni di tonnellate di rifiuti tessili l’anno, con il solo 22% raccolto per il riciclo, con il settore che, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, rappresenta la seconda principale fonte di inquinamento globale (ben il 20% stando ai dati della Commissione europea), preceduta soltanto dall’industria petrolifera.

E, in questo contesto, il nostro Bel Paese non è certo un modello da imitare: per citare qualche dato elaborato da Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale, nel 2022 sono state raccolte oltre 160.000 tonnellate di abiti, pari a circa 500 milioni di capi d’abbigliamento, di cui 80.000 tonnellate al Nord, 33.500 al Centro e 46.800 nel Mezzogiorno.
Dunque, non proprio esemplari. Eppure i nostri rappresentanti in Europa hanno preferito astenersi: che all’Italia non piacciano proprio le questioni ambientali?

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