Il Natale a Milano non inizia quando si accendono le luminarie, ma quando i panettoni iniziano a spuntare ovunque: nei bar, nelle pasticcerie, negli uffici e perfino negli scaffali dei supermercati che fino a ieri esponevano detersivi. E ogni anno si ripresenta la stessa domanda: come si fa a scegliere quello buono? Dietro la scatola dorata e la retorica del “classico milanese“, la verità è che un panettone davvero riuscito ha una sua identità precisa, fatta di materie prime, lievitazioni lente e profumi che non mentono.
Il ritorno della semplicità
Negli ultimi anni la tendenza più interessante è il ritorno alla sobrietà. Niente fronzoli, niente effetti speciali: un buon panettone parte dal latte, dalla farina giusta e soprattutto dal burro, che resta il suo ingrediente più importante. Molti produttori artigianali puntano su burri di qualità europea e su canditi lavorati con processi lenti, per preservare aroma e consistenza. È un approccio che sta influenzando anche l’industria, sempre più attenta a evitare scorciatoie come aromi artificiali o grassi di minor pregio.
Anche l’uvetta è tornata protagonista: succosa, integra, trattata con cura. Niente chicchi secchi o bruciacchiati che si sfaldano nell’impasto. La differenza, quando si assaggia, è evidente.
Il test della verità
La scelta del panettone non si fa solo leggendo la confezione, ma aprendolo. Il gesto, quasi un rito, rivela immediatamente qualità o delusioni. Un buon panettone profuma in modo naturale, senza note artificiali troppo pungenti. La mollica deve essere elastica, leggera, con un’alveolatura ampia e irregolare: è il segno che la lievitazione è stata rispettata e che l’impasto ha “respirato” come si deve.
La consistenza ideale è morbida ma non cedevole, umida ma non appiccicosa. Se si strappa con le dita e i filamenti tendono a distendersi senza rompersi, siete sulla strada giusta. Sembra poesia, ma è chimica applicata alla pasticceria.
Industriale o artigianale?
Il confine si sta assottigliando. Molti panettoni artigianali hanno una qualità eccellente, grazie al lievito madre e a lavorazioni lente che richiedono fino a tre giorni. Ma l’industria sta recuperando terreno: diverse catene della grande distribuzione hanno introdotto linee “premium” che, a prezzi sorprendentemente contenuti, riescono a offrire prodotti equilibrati e ben fatti.
Il risultato è che non è più scontato che un panettone più caro sia migliore. E chi ha il palato allenato lo sa: bisogna giudicare caso per caso.
La stagione di quest’anno sembra dominata da due idee: territorialità e leggerezza. I canditi fatti con agrumi italiani, le farine selezionate, il lievito madre curato come un animale domestico: tutto vuole raccontare una storia precisa, un legame con un territorio o con una tradizione familiare.
Parallelamente, molti pasticcieri stanno lavorando a impasti meno dolci e meno grassi, lasciando che sia l’equilibrio a emergere. È una scelta che incontra i gusti di chi cerca un dolce più contemporaneo, meno opulento e più “mangiabile” anche dopo il pranzo di Natale.
Che si compri in pasticceria o al supermercato, il panettone rimane un dolce che va scelto con attenzione, ma anche con un po’ di istinto. È un prodotto che vive di profumi, di consistenze, di attese. E quando si trova quello giusto — quello che si apre con un soffio caldo di burro e agrumi — il Natale comincia davvero.
