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Arte

Paolo Conte, la sua “espressione un po’così” nel disegno

01.11.2023

Il ciclista rosso, Paolo Ponte

Dopo il Teatro alla Scala ora entra anche agli Uffizi. Il mondo del cantautore si allarga e mette in mostra 69 opere tra disegni a inchiostro e a matita, acquerelli dal figurativo all’astratto. La doppia anima del grande musicista con il “vizio” della pittura.

Per accedere alle Gallerie degli Uffizi forse basterebbe una password che è anche l’incipit di Bartali (1979), una sua canzone: Zazzarazàz. Ad accogliervi non ci sarà il Gino nazionale con «quel naso triste come una salita e quegli occhi allegri da italiano in gita», ma il fare cortese del Direttore Eike Schmidt, convinto assertore delle scelte inusuali, perché: «Nell’arte devono esserci le sorprese, quello che non ci si aspetta. Tanti artisti sono stati musicisti e compositori di talento, uno fra tutti Leonardo». Così, Il titolo alla mostra «Nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu», una sorta di barriera piemontes (elegante ed inespugnabile), innesca la girandola di significati ed ispirazioni, e si lega al nome di Paolo Conte, artista poliedrico che, dall’iniziale abbrivio avvocatizio ha scelto la musica come ragion d’essere abbinata al disegno, passione primigenia. Ed il percorso si snoda dalle raffigurazioni più lineari degli esordi, a quelle più astratte con nuances futuristiche degli ultimi anni, lungo il filo di una graffiante ironia che inanella 69 disegni su carta, nella riproposizione di frammenti di vita, in una mescolanza di linguaggi.

È il mondo di questo maturo cantautore astigiano, vulcano d’idee e di viaggi onirici alternativi, capace anche con una matita colorata di stupire per l’arditezza di un pensiero “altro”. I testi delle canzoni si frappongono ai racconti, orientandoli, quasi guidandoli con tenerezza, verso un porto che s’arricchisce di fogli concimati da un pensiero energizzante, e caricati dal dinamismo inarrestabile di elaborazioni ed influenze moderniste, che neanche le matite, i pennarelli e le tinte pastello acquerellate sembrano domare. La realtà a sprazzi viene rappresa dentro un’immagine, con quella sensazione precisa da parte del fruitore di aver vissuto, osato, anticipato ogni momento insieme all’autore, senza le illusioni di questo tempo finto sempre prossimo al mercato. Seguendo le strutture dell’improvvisazione proprie del jazz, che non dipendono da armonia, melodia, ritmo o velocità del metronomo, una sorta di riduzionismo musicale su elementi non oggettivabili (di quelli che non possono essere scritti su uno spartito musicale, per intenderci), eppure facilmente identificabili in quelle visioni sghembe che fanno parte integrante del mondo artistico di un cantautore atipico come lui. Di pari passo l’universo grafico in sospensione di Conte si popola di un ciclista “Diavolo rosso” che sfreccia, un boxeur, un trombonista (autobiografico, quando il nostro si esibiva nelle feste di paese), di una donna nuda con i capelli rosseggianti e quella meridiana girata all’incontrario come la clessidra. A dispetto delle 86 primavere, Paolo trae ancora ispirazione vitale dai movimenti artistici del primo Novecento, irrinunciabile fucina creativa, mutuando «calma e leggerezza da pittura e disegno in contrapposizione allo stato d’eccitazione della musica».

Quando, poi, nelle neonate sale dell’arte grafica, ci si confronta col Razmataz del 2000, libro-progetto multimediale ed opera musicale ispirata agli anni d’oro del jazz (1800 illustrazioni), la proverbiale riservatezza dell’astigiano illustre riaffiora. Meglio ritornare a fare il canzonettista (cit), dopo aver chiuso nel cassetto idee e programmi, per non ingenerare illazioni sull’artista tuttofare con benefit di rendita. La musica vince, ma la dedica al lodato Steinberg e al suo trucco di sorridere disegnando rimane. Viaggiando su una Topolino amaranto, magari.

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