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Pd, Borghi spiazza Schlein e va in Iv. Renzi: “Non sarà l’ultimo”

26.04.2023

Difficili altre uscite a breve ma è tensione nel partito

Roma, 26 apr. (askanews) – Stavolta il divorzio è più doloroso, l’uscita di Enrico Borghi non è come quella di Giuseppe Fioroni e Andrea Marcucci, dirigenti che già da tempo erano considerati con un piede fuori dal partito. Elly Schlein tace, anche se in colloqui riservati è apparsa rammaricata della scelta. La segretaria non si capacita delle motivazioni di Borghi, “ho tenuto sulla guerra in Ucraina, sul termovalorizzatore, ho detto che sono disponibile a ragionare sui temi sensibili…”. I suoi, i pochi che – a microfoni spenti – commentano, cercano di minimizzare, ma basta la reazione del capogruppo in Senato Francesco Boccia a far capire che questo nuovo addio mette in subbuglio il partito: “Sono amareggiato sul piano personale e deluso sul piano politico”, commenta, aggiungendo la richiesta di dimettersi dal Copasir dove era entrato in quota Pd.

Il fatto è che Borghi avrà pure deciso in assoluta solitudine, come pare, e forse anche per “valutazioni personali”, come dicono tanti. Ma il senatore alla fine può essere di fatto l’apripista di un mondo che fatica a riconoscersi nel “Nuovo Pd”, come pronostica Matteo Renzi (“Non sarà l’ultimo”) e come cominciano a temere anche nell’ala moderata del partito. Non a caso Lorenzo Guerini invita a non sottovalutare quello che è successo, anche se chiede di non drammatizzare. “La verità – dice un esponente della minoranza – è che potrebbe non essere un caso isolato. C’è parecchio malessere per come Schlein sta gestendo questa fase”. Pesano le scelte sulla segreteria, sui capigruppo, ma anche una linea politica che molti considerano troppo sbilanciata sulle piazze e su temi di bandiera.

Nessuno pensa che ci possano essere altre uscite a breve, anche l’area ex lettiana – ora “neo-ulivisti” – a cui Borghi apparteneva ha subito preso le distanze: “La decisione del senatore Borghi di abbandonare il gruppo del Pd in Senato è un gesto di gravità inaudita. Non saranno gesti isolati come questo – dice Marco Meloni – a frenare il percorso di crescita e cambiamento che fa del Pd, in una logica di apertura e pluralismo, il perno di una coalizione di centrosinistra progressista e riformista”.

Parole simili le pronuncia Anna Ascani: “La decisione del senatore Enrico Borghi di dire addio al Pd è un errore, un errore grave. Le parole che ha utilizzato richiamano la caricatura del Pd che spesso viene riportata dalla destra”. Anche Giuseppe Provenzano, che è in segreteria come responsabile esteri, rilancia la stessa critica: “Dispiace che Borghi usi le stesse parole della destra per criticare il Pd”.

E’ però un fatto che le prese di posizione della segretaria sulla maternità surrogata, per esempio, abbiano suscitato molte perplessità tra i cattolici del partito, e non solo. Come è vero che in tanti, anche nella maggioranza, sollecitano una maggiore presenza del partito sui temi più caldi dell’agenda politica, a cominciare da quelli economici.

In generale, riaffiora quel dibattito sulla natura del Pd che aveva dominato le primarie e che poi è stato un po accantonato dopo l’elezione di Schlein: essere ancora un partito che guarda sia al centro che a sinistra, coltivare in qualche modo una “vocazione maggioritaria” come diceva Bonaccini durante la campagna per il congresso, o scegliere nettamente una ricollocazione più tradizionalmente di sinistra? Durante la direzione dello scorso giovedì, raccontano, è stata Laura Boldrini – per esempio – a rilanciare la seconda tesi: “Di fronte a loro che fanno la ‘destra-destra’ noi dobbiamo essere la ‘sinistra-sinistra’”, sarebbe stato il ragionamento. E un dirigente della sinistra Pd oggi, quando gli si chiedeva dell’addio di Borghi rispondeva: “L’importante è che ieri a Milano Schlein è stata accolta in trionfo. Quello è il nostro mondo”.

Giudizio simile a quello che Marco Furfaro consegna a SkyTg24: “Prima delle primarie del 26 febbraio, il Pd era ai minimi storici, alcuni commentatori davano persino a rischio l’esistenza del Pd. Oggi il Pd è il primo partito dell’opposizione, è cresciuto di 5-6 punti nei sondaggi, è un partito che viene applaudito come ieri a Milano con Schlein e non contestato. Mi spiace ma Borghi è poco comprensibile rispetto al fatto che il Pd si stia restringendo…”.

Ma, appunto, è questo che allarma l’ala riformista, che pure critica Borghi. “La piazza di Milano non basta”, dicono in diversi. Schlein deve fare attenzione, non deve sottovalutare il disagio, è il ragionamento. Anche se nessuno per ora appoggia la mossa di Borghi: vero che c’è la tentazione in qualcuno della sinistra di cambiare il Dna del Pd, indiscutibile che serva attenzione ad un profilo più “riformista”, tanto più con la crisi del Terzo polo. Ma “sta anche a noi far vivere il pluralismo in questo partito. Non si può gettare la spugna subito”. Fatto sta che l’addio di Borghi è forse il segnale che la tregua post-primarie si va esaurendo.

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