20 Novembre 2025
/ 20.11.2025

Per l’Europa gli affari con l’Indonesia vengono prima della lotta alla deforestazione 

Un’altra economia in forte espansione entra nella grande rete degli accordi commerciali che von der Leyen vuole creare per permettere agli esportatori europei di trovare nuovi mercati e compensare le perdite dovute ai dazi di Trump

L’Europa, lo sappiamo, sta abbandonando parti sempre più importanti del Green Deal. Un po’ per imposizione esterna, un po’ per pressione dei Popolari europei e dei sovranisti/patrioti, e un po’ perché molti pensano che a volte far finta di niente, e ridurre le protezioni e tutele per l’ambiente convenga. E così, nella disattenzione generale, nelle scorse settimane la Commissione europea ha chiuso il negoziato con l’Indonesia per un ampio accordo di libero scambio e, quasi in parallelo, ha proposto di rinviare di un altro anno il regolamento anti-deforestazione. Due mosse che raccontano la fase: espandere i mercati per compensare dazi e tensioni geopolitiche, mentre il Green Deal scivola in secondo piano. 

A Bruxelles, il “Comprehensive Economic Partnership Agreement” (Cepa) tra UE e Indonesia è presentato come un cambio di passo. Dopo l’accordo con il Mercosur e la revisione di quello con il Messico, un’altra economia in forte espansione entra nella grande rete degli accordi commerciali che von der Leyen vuole creare per permettere agli esportatori europei di trovare nuovi mercati e compensare le perdite dovute ai dazi di Trump.

La più grande economia dell’Asean

L’Indonesia è un mercato di 286 milioni di abitanti con una crescita economica attorno al 5%. È la più grande economia dell’Asean (Association of South-East Asian Nations), ma è solo il quinto partner commerciale dell’UE nella regione. Nel 2024 gli scambi hanno superato i 27 miliardi di euro. Il commissario al Commercio Maros Sefcovic ha spiegato che a causa dei dazi indonesiani c’è “un potenziale enorme non sfruttato”. 

L’Europa punta così a ridurre drasticamente le barriere. I dazi sulle auto, oggi al 50%, scenderanno a zero in cinque anni; per la chimica (25%) e per la produzione di macchinari e farmaceutica (15%) è prevista una liberalizzazione simile. Nell’agroalimentare l’elenco è lungo: lattiero-caseario, carni, frutta e verdura e molti trasformati prodotti in Europa entreranno più facilmente nell’arcipelago asiatico. In totale il 98,5% dei dazi indonesiani sarà eliminato, con un risparmio stimato per gli esportatori europei di circa 600 milioni di euro.

Il Cepa comprende anche un accordo sugli investimenti, che dovrebbe aprire il mercato dei servizi informatici e delle telecomunicazioni e migliorare le condizioni degli investitori europei per accedere alle materie prime necessarie alle transizioni digitale e climatica. Per la Commissione, si tratta di tessere una “globalizzazione felice” in versione europea, in un’era segnata dai dazi americani e dalla competizione cinese. 

E non finisce qui. L’UE ha annunciato di voler rimandare ancora una volta l’entrata in vigore dell’Eu Deforestation Regulation (Eudr), il regolamento che vieta l’import di commodity legate alla distruzione delle foreste. Il testo obbligherebbe gli importatori di olio di palma, caffè, cacao, bovini, legname e gomma a dimostrare che tali prodotti non sono stati prodotti su terreni deforestati, per poter essere venduti sul mercato dell’Unione europea. Secondo una lettera attribuita alla commissaria all’Ambiente Jessika Roswall, il rinvio di un anno servirebbe ad adeguare i sistemi informatici che dovranno gestire la mole di dati di tracciabilità. Le scadenze oggi prevedono l’applicazione dal 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e dal 30 giugno 2026 per le Pmi; slittando, tutto il calendario si sposterebbe più avanti, con un passaggio obbligato in Parlamento europeo e Consiglio.

Alla fine dell’anno scorso, Bruxelles aveva già rinviato l’entrata in vigore di questo regolamento di un anno. Ma quella decisione non aveva placato l’opposizione di partner industriali e commerciali come Brasile, Indonesia e Stati Uniti, la cui posizione è chiara: conformarsi alle norme sarebbe costoso e danneggerebbe le loro esportazioni verso l’Europa.

Il regolamento osteggiato

Il regolamento è uno dei tasselli del Green Deal, ed è osteggiato da diversi partner commerciali che lo considerano protezionistico, temendo l’esclusione di milioni di piccoli agricoltori dal mercato europeo. L’opposizione non è limitata ai Paesi terzi: Polonia e Austria lamentano difficoltà sulla tracciabilità anche per i produttori UE. Nel Parlamento europeo, la negoziatrice Christine Schneider sostiene che i problemi siano strutturali e non risolvibili con ulteriori transizioni o linee guida, riproponendo l’idea di una categoria “rischio zero” che esenterebbe alcuni Paesi dagli obblighi — ipotesi finora respinta da Commissione e Consiglio.

Le organizzazioni ambientaliste criticano la scelta. Ogni mese di ritardo significa nuove aree disboscate, incendi e fenomeni estremi. Il Wwf ricorda che quasi 200 mila cittadini europei hanno chiesto di mantenere intatte le leggi sulla natura e avverte del rischio di un ulteriore indebolimento con conseguenze globali sulle foreste.

In Asia, chi teme gli effetti della stretta accoglie con favore il rinvio. Il Malaysian Palm Oil Council ha definito la proposta dell’Ue “chiave” per affrontare le criticità di implementazione e le lacune operative e strutturali del regolamento. La Malesia, tra i maggiori produttori mondiali, contesta anche la classificazione europea come “Paese a rischio standard”, che comporta l’ispezione del 3% delle spedizioni, più stringente rispetto ai Paesi “a basso rischio”. Il settore sostiene di aver investito per adeguarsi, senza vedere un riconoscimento proporzionato delle pratiche più responsabili.

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