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Per una democratizzazione della conoscenza finanziaria: l’economista Annamaria Lusardi

02.10.2024

La sua carriera si divide tra Italia e Stati Uniti: è un’economista di fama internazionale, da sempre attenta al tema della financial literacy.

«È quasi anomalo che sia una donna italiana a essere un’esperta di finanza. Dimostra che le statistiche non sono il nostro destino».

La sua storia è piena di successi e traguardi. Si sarebbe mai aspettata una carriera così?

«No, Quando studiavo alla Bocconi avevo capito che se avessi scelto questo ambito avrei dovuto studiare e fare ricerca all’estero, negli Stati Uniti. E mi aspettavo che avrei fatto una parte della mia carriera lì, perché era quello che vedevo nei professionisti attorno a me, docenti, ricercatori. Non mi aspettavo che sarei rimasta tutta la vita. Quando si è giovani, è eccitante l’idea di studiare all’estero, ma è stato chiaramente molto difficile, anche se ho avuto anche tante opportunità. Sono riuscita a studiare in un’università come Princeton, gli amici con cui ho studiato sono ancora alcuni dei miei migliori amici».

Le piacerebbe tornare in Italia in futuro?

«Sono tornata spesso quando lavoravo per il Comitato EDUFIN. Sono molto legata all’Italia e ho sempre mantenuto un contatto nel tempo. L’idea è di fare dei lunghi periodi di sosta lì. Quando non lavorerò più potrò permettermi di rimanere più a lungo».

Il suo ultimo libro, “Il sapere che conta” (Mondadori, 2024), con taglio divulgativo parla di finanza. Perché questo libro e quanto è necessaria un’educazione finanziaria?

«Ho scritto per chi non conosce l’argomento e l’ho scritto in modo discorsivo e non banale, ma molto semplice, anche se è stato difficile. È forse il più difficile che ho scritto e ci ho messo molti anni. Ho cercato di tradurre le lezioni che faccio all’università, dove insegno Finanza Personale. Parlo di concetti che dovrebbero accompagnare ogni persona nel proprio viaggio nella finanza, che è uno strumento straordinario per raggiungere grandi risultati, anche nella nostra vita. È ciò che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi. Secondo me ci siamo dimenticati di questo, ma tutti dovrebbe avere queste conoscenze. Oggi la conoscenza finanziaria è importante come il saper leggere e scrivere. La società sta cambiando, le persone devono partecipare ai mercati finanziari, devono prendere delle decisioni e muovere i propri soldi. Senza queste conoscenze oggi non si può far parte della classe media, ed è questione anche di saper capire la complessità del nostro. In Italia la conoscenza finanziaria è particolarmente bassa, ma credo che sia anche per una tradizionale avversione a questo argomento. La conoscenza finanziaria non è distribuita equamente e chi non ce l’ha, resta indietro. Introdurre questo argomento a scuola vuol dire dare accesso a tutti e tutte a queste conoscenze: è una questione di democratizzazione della conoscenza».

Qual è, invece, il livello di conoscenza negli Stati Uniti?

«Non è alto. È interessante che, anche se è il Paese con i mercati finanziari più avanzati, non è al top della conoscenza finanziaria. Questo perché, se non si insegna a scuola, non è semplice imparare guardando soltanto il mondo attorno a sé. Anche qui ci si sta muovendo per metterla nella scuola e all’università. A Stanford, ad esempio, il corso che faccio io, è uno dei primi che parla di finanza personale».

Ha visto un’evoluzione nell’atteggiamento dei suoi studenti rispetto all’argomento?

«C’è un grande interesse tra i giovani, per due ragioni. La prima è che qui l’università è privata e molto costosa, quindi gli studenti devono pagarla, e anche chi non studia, inizia a gestire i propri soldi molto presto. In secondo luogo, il sistema pensionistico qui prevede che le persone decidano come investire la propria ricchezza pensionistica. Quindi le decisioni finanziarie ci sono già da subito e sono complesse».

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